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Il ritratto di Dorian Gray

Regia di Albert Lewin vedi scheda film

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La recensione su Il ritratto di Dorian Gray

di undying
8 stelle

Un film che -nel rispetto del soggetto- non invecchia affatto con il trascorre degli anni. Una pietra angolare del cinema drammatico per le tante riflessioni che sollecita, a cominciare dalla labile e temporanea giovinezza di ciascun essere umano. Malinconico nell'esito, fondamentale nel contenuto, assolutamente pertinente al mezzo cinematografico.

 

Dorian Gray (Hurd Hatfield) è giovane di bella presenza, pertanto ricercato dai pittori come modello. Basil (Lowell Gilmore) è un artista di grande talento e proprio di Dorian realizza uno stupendo ritratto. Fissando la perfezione del quadro, il pittore si lascia andare in considerazioni sulla promiscuità della vita e su come il tempo cancelli qualunque eccellenza estetica: arriverà la vecchiaia e il fascino di Dorian sarà solo un lontano ricordo. Davanti ad una statua egiziana, ritraente un felino, Dorian esprime il desiderio che possa invecchiare il quadro al suo posto. Tempo dopo Dorian si innamora -contraccambiato- di una ballerina di nome Sibyl (Angela Lansbury) ma -suggestionato da discorsi cinici e sprezzanti dell'amico Henry Wotton (George Sanders)- finisce per abbandonare la donna in malo modo, al punto che, per l'enorme delusione, Sibyl si toglie la vita. È il primo atto di un comportamento immorale che lascia traccia, sul quadro, di una impercettibile modifica. Con il passare degli anni, mentre Dorian sprofonda negli abissi della perdizione pur mantenendo un gradevole aspetto, il quadro subisce continue -e mostruose- metamorfosi.

 

locandina

Il ritratto di Dorian Gray (1945): locandina

 

"Ti prego padre, perdonami perché ho peccato. Per le mie colpe, le mie gravi colpe..." (Dorian Gray / Hurd Hatfield

 

"A dispetto dell'indescrivibile deterioramento del quadro, Basil fu ancora capace di riconoscere il ritratto che aveva fatto a Dorian (...) Sembrava che tanto orrore, fosse una emanazione del quadro stesso, come se una lebbra morale, lentamente, lo stesse divorando. Egli non poteva credersi l'autore di quel ritratto. Eppure c'era il suo nome proprio là, dove lo aveva apposto."

 

Hurd Hatfield

Il diario di una cameriera (1946): Hurd Hatfield

 

Dal celebre ed omonimo romanzo di Oscar Wilde, la MGM produce una riduzione cinematografica affidata alla raffinata regia di Albert Lewin che pure si occupa della sceneggiatura avendo cura di scrivere testi significativi e profondi, ben pronunciati dai bravissimi interpretati. La scelta del protagonista principale ricade su Hurd Hatfield, attore dai lineamenti per quanto perfetti assai inquietanti, anche a causa di uno sguardo magnetico talvolta profondamente triste: uno sguardo che  annuncia essere, la sua mente, perduta tra i fantasmi di grigi pensieri. Un viso perfetto, estremamente consono ad un tema decadente com'è -di fatto- quello del trascorrere del tempo e, di conseguenza, della caducità della bellezza umana. Con un pizzico di ambiguità che ricorda anche lo sdoppiamento di Jekyll in Hyde, va in scena la tragedia di uomo sconfitto dalle sue stesse paure, un uomo che -nonostante il perenne aspetto da ventenne- è invece invecchiato prematuramente, iniziando ad avvizzire nell'animo proprio di fronte al ritratto di se stesso. Ritratto ch'è percepito, intuito da Dorian, essere sorta di perenne, statico, immobile attimo della sua stessa esistenza, catturato tra le maglie spietate dell'inarrestabile trascorrere del tempo. Cos'è in fondo Dorian, se non un evidente narcisista che passa dal Bene al Male, e viceversa? Questa innaturale transazione, a senso alternato, denuncia il suo scostante modo di vivere, pur se in prevalenza edonistico, da ostinato egoista; non a caso il cognome di Dorian è Gray, ovvero grigio: tonalità che riassume due contrastanti e opposti (non) colori.

Sulle qualità di un film formalmente ineccepibile, diretto con piglio sicuro, interpretato da veri talenti (anche i personaggi di contorno sono tutti eccezionali) e scritto in stato di grazia, non c'è altro da aggiungere senonché appare interessante -calando l'ottica al 1945- il curioso tentativo di accentuare la mostruosità della metamorfosi cui il quadro va incontro proponendo certe scene (quelle statiche della tela) a colori. Un film d'altri tempi, ma che -a dispetto del passare incessabile degli anni- ha conservato in pieno il suo valore, la freschezza dei testi e della messa in scena pur essendo -per contrasto- infinitamente tetro il contenuto.  

 

Angela Lansbury

The Hoodlum Saint (1946): Angela Lansbury

 

Citazioni 

"Quando tornava da queste visite all'abisso, sostava dinanzi al quadro. Talvolta pieno di nausea per sé e per il quadro stesso ma talaltra con quell'orgoglio di essere diverso dagli altri... ch'è uno dei fascini del Male. Soleva esaminare con minuta cura le odiose linee che solcavano la fronte grinzosa, o correvano vicino alla bocca amara e sensuale, meditando se fossero più orribili le tracce del peccato o quelle dell'età  (...) Il vivere una vita semplice, onesta e sincera era quasi come non vivere. La insincerita' era poi una cosa tanto terribile? Dorian pensava di no: era solo un metodo che poteva moltiplicare la nostra personalità." (Voce narrante, fuori campo)

 

"Un giorno ci troveremo sgomenti di fronte alla realtà che l'anima non è una superstizione e che lo spirito non è una sostanza materiale che può essere vista al microscopio (...) L'anima non è una illusione ma una terribile realtà. Può essere comprata, o venduta, o mal barattata. Può essere avvelenata o resa perfetta. La misera creatura, la cui anima è colma di neri pensieri e di misfatti, è sempre circondata dall'oscurità e trascina con sé -sempre con sé- la sua vile prigione."

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