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American Hustle - L'apparenza inganna

Regia di David O. Russell vedi scheda film

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La recensione su American Hustle - L'apparenza inganna

di ROTOTOM
4 stelle

L’apparenza inganna, dice il sottotitolo italiano di American Hustle.  E infatti l’inganno è servito in pieno. Il cinema di David O. Russell mi convince sempre meno. Dalla scorrettezza politica con nervature di commedia nera del difettoso ma divertentissimo Three Kings (1999), il regista si è conformato poi sempre di più alla produzione mainstream medio alta hollywoodiana finendo per confondere il suo cinema con le esigenze dello spettatore, condito di retorica, buonismo, prevedibilità ed estetica cool. American Hustle è la summa di questo non-pensiero cinematografico evidenziatasi fin quando la prevedibilità de Il lato positivo (2012) si era sostituita all’amarezza del disagio mentale ed esistenziale della storia, traghettando  verso il Kodak (Dolby) Theatre l’arca di attori e portando in dote un Oscar alla diva del momento: Jennifer Lawrence.

La direzione degli attori si dirà è il suo lato positivo. Io dico di no.  Iperscritti, formali nella caratterizzazione e normalizzati dalla morale comune nelle negatività necessarie più per esigenze di copione che per reali evoluzioni emotive, la direzione di O. Russell è quella sovraeccitata e piaciona, mimetica, che piace e porta premi. Ma che alla lunga stanca, mostra le crepe della messa in scena, estenuante, soprattutto in questo film.

American Hustle è tratto da una storia vera, ma non tutta come dice il cartello iniziale : alcuni di questi fatti sono tratti da eventi realmente accaduti.  Alcuni. Non si sa quali e questo particolare , appena seduto e anelante di aspettative per un film che si preannunciava ricco di fascino, mi  ha ricordato la fine dell’uccellino in gabbia nelle trincee della seconda guerra mondiale. Era il primo a morire quando i nemici lanciavano il gas, e presagiva a qualcosa di tragico.  

Storia di truffe e di truffatori, truffati , mazziati e cornuti. Di FBI  e  mafia,  politica e sesso. Tutto in dosi da omeopatia, così che in realtà nessuno si faccia male.  I seventies, quasi eighties sono talmente connotati nell’immaginario collettivo che basta una basetta xxl, una scollatura su torace villoso, una camicia psichedelica con colletto tipo arma impropria o una pettinatura aliena che , et voilà , la ricostruzione storica funziona. Ci mettiamo la fotografia vintage, leggermente desaturata,  e la necessaria colonna sonora di quel tipo di musica che – ahimè- non si fa più e siamo a posto. La fuffa anni settanta copre tutti i difetti. Sbagliato, come è sbagliato questo film fin dall’inizio con la voce over che inizia a spiegare ciò che si dovrebbe vedere e non la smette più fino alla fine e tutto si perde in un lunghissimo monologo nel quale affogano gli interpreti, tutti sopra le righe, sovrascritti, esagitati e ammiccanti.



Capelli. Un espediente narrativo
 Irving Rosenfeld (Christian Bale) truffatore da riporto (quello pilifero) sposato con la vacua ninfa Rosalyn (Jennifer Lawrence) annoiata casalinga dalla messa in piega impossibile, truffa con la sexy Sydney Prosser (Amy Adams) , dalla criniera leonina, poveracci bisognosi. Indaga il solito scemo dell’FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper) che si fa i riccioli con i bigodini e incastreranno il politico buono ma disposto all’inciucio Carmine Polito (Jeremy Renner) che sfoggia un ciuffo fonato a prova di uragano.  Sono i capelli il motore narrativo di questo film. Inerti a qualsiasi sollecitazione, connotano senza perdere la piega il carattere di ogni personaggio. Mentono, i capelli, nella loro costrizione di scena, come mentono tutti i personaggi che bene o male sopravvivono alla loro natura con espedienti truffaldini. Quello che dovrebbe essere l’aspetto psicologico fondante il film si materializza nella messa in piega.

 

Ognuno crede a ciò che vuole credere, o che gli fa piacere credere. L’avevamo già sentita in The prestige di Cristopher Nolan. Ed è vero. Ma io non credo a questa storia sentimental-criminale, un p’ melò , un po’ spy story , un po’ complottista da interni con spruzzi di commedia e sottofondo morale.  Soprattutto se quello che  viene a mancare è il ritmo, grande assente di questa messa in scena smargiassa. Diluita e un po’ noiosa la prima parte quanto pasticciata e caotica la seconda,  American Hustle va a strappi senza sapere bene che direzione prendere  e ingarbugliandosi in un logaritmico accumulo di eventi, situazioni e personaggi –macchietta che appaiono e scompaiono senza lasciare traccia.



O. Russell strizza l’occhio al gangster movie, si riconosce l’intento di connotare la famiglia criminale cara a Martin Scorsese seppur virata in tono quasi caricaturale e affrontare la società americana della fine degli anni 70 durante la quale gangster, prostitute e politici corrotti pasteggiano e grufolano quasi indisturbati nella storica zona d’ombra che chiude la consapevolezza civile dei fricchettoni   e spalanca le porte dell’America  alla crescente bolla di individualismo edonistico pompato dal miraggio di ricchezza (com)promessa dalla finanza d’assalto.

 I personaggi sono li, galleggianti  nella gigioneria innocente alla Austin Powers e a pochi mesi dal new romantic  dalle giacche con le spalline da quarter back . Non sono cattivi ne’ buoni, sono animati da passioni ma non toccano una tetta, vorrebbero essere criminali ma non osano fare del male, vogliono essere furbi ma sono stolti, eticamente corrotti, pateticamente imbecilli, romanticamente ingenui, francamente eccessivi in ogni tratto caratteristico. American Hustle sembra abbia tutto e invece manca di tutto. Come commedia non diverte, come thriller non funziona, come melò non cattura. Non commuove. Non emoziona. Senza epica, senza tensione, senza passione. Estremamente convenzionale, tutte le più buone intenzioni vengono sacrificate sull’altare della risoluzione della vicenda e della chiusura di tutti i capi narrativi di un gomitolo fattosi macigno. Questo film alla fine è estenuante.

Solo una luce, nel buio. Amy Adams, l’unica in parte , trattenuta,  mutevole, fremente e abile nel tradire senza peccato. Ci si perde nei suoi occhi chiari, si affonda nelle abissali scollature dei suoi abiti portati con sfrontata naturalezza. Se il film ha un perché , questo perché è tutto suo.

E guarda caso, è l’unica che nel film cambia pettinatura.
(ed è un colpo al cuore)

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