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Grand Budapest Hotel

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Grand Budapest Hotel

di cheftony
8 stelle

“He was the same as his disciples: insecure, vain, superficial, blond, needy. In the end he was even rich.”

 

Repubblica di Zubrówka, 1968: uno scrittore (Jude Law) fa la conoscenza di Zero Moustafa (F. Murray Abraham), l’anziano proprietario dell’albergo in cui risiede, il Grand Budapest Hotel. Di fronte ad una rilassante cena, questi spiega allo scrittore la storia che lo lega a quell’albergo ormai caduto in disgrazia, che lo vide entrarvi come facchino durante gli anni dello splendore per poi divenire concierge.
Tutto ha avuto inizio grazie al suo mentore, l’allora concierge Gustave H. (Ralph Fiennes), uomo efficiente ed impeccabile nell’esercizio delle sue funzioni, salvo intrattenersi regolarmente con le ospiti più anziane e ricche del Grand Budapest. Il misterioso decesso di una di esse, Madame D. (Tilda Swinton), lo costringe ad accompagnarsi al giovane Zero (Tony Revolori) per un’improvvisata fuga che rischia però di avere vita breve: la zona è funestata dalla presenza di armate tedesche, capitanate da Henckels (Edward Norton). In un modo o nell’altro, i due riescono a raggiungere la villa della ricca signora e ad apprendere dall’esecutore testamentario (Jeff Goldblum) a chi sono destinati i beni della defunta. L’esito scatena l’ira del figlio Dmitri (Adrien Brody)…

 

Ralph Fiennes, Tony Revolori

Grand Budapest Hotel (2014): Ralph Fiennes, Tony Revolori

 

Film di strepitoso successo di critica e di pubblico, “Grand Budapest Hotel” è Wes Anderson all’ennesima potenza, sospinto ai suoi massimi livelli senza freni e senza vergogne. Già con le primissime inquadrature non lascia scampo: composizione simmetrica, carrello laterale, zoom avanti, simmetria centrale sfacciata ancora una volta. Una miriade di personaggi assurdi entra in scena a ciclo continuo, senza giocare un vero e proprio ruolo, ma ognuno con le fattezze di un grande interprete prestatosi volentieri al gioc(attol)o del regista texano. Ha tutto perché ne restassi schifato e invece trovo che sia il miglior film di Wes Anderson. Un colpo di coda non preventivabile, visto che segue il superficiale e scontato “Moonrise Kingdom”.
Forse perché per una volta quella sua malinconia pre-adolescenziale (sì, anche se ha 40 e passa anni) di base si ritrova circoscritta a brevi spezzoni, o forse perché stavolta c’è meno stralunato patetismo del solito nei rapporti filiali e genitoriali. Forse, ma in realtà il motivo è che “Grand Budapest Hotel” è il primo film di Anderson ad essere assolutamente divertente.
Girato interamente in Germania, in particolar modo in Sassonia per recuperare un vibrante ed immaginario fascino orientale della fantomatica Repubblica di Zubrówka degli anni ’30, sfrutta comunque la facciata di un albergo ceco di Karlovy Vary per costruire quel modellino di 3 metri rosa confetto che è il Grand Budapest Hotel. Proprio i colori – manco a dirlo – fanno parte dell’intrattenimento: se l’impatto con l’albergo odierno è giocato su un autunnale decadentismo in toni di giallo e marrone, nei fiorenti anni ’30 dominavano rosa, rosso e viola. Una palette ricorrente lungo tutto il film e sicuramente audace.

 

F. Murray Abraham

Grand Budapest Hotel (2014): F. Murray Abraham

 

La trama è, come sempre, poca cosa, anche se qui si può osservare una maggiore articolazione rispetto al passato, a prescindere dai quattro livelli temporali discretamente pretestuosi: Ralph Fiennes interpreta splendidamente un raffinato, gaudente e al contempo buffonesco concierge d’albergo di lusso, ritrovatosi suo malgrado al centro di un intrigo di eredità, guerre imminenti, vita carceraria e mentore di un giovane immigrato che un giorno gli succederà al Grand Budapest Hotel. Intorno alla sua figura danza incessantemente un’irrefrenabile sarabanda di personaggi caricaturali, eppure assai efficaci, che siano alleati o che siano villain (spiccano Adrien Brody e Willem Dafoe). Aiutano molto il funzionamento dell’impianto andersoniano, come di consueto, un cast davvero impressionante e le musiche di Alexandre Desplat. In linea di massima, i film di Wes Anderson continueranno a non convincermi e anche per “Grand Budapest Hotel” non scomoderei certo paroloni: per una volta, però, l’intrattenimento fa la sua parte, i giochi di colore e di simmetria sono così marcati da apparire insuperabili (per sfacciataggine) e l’evanescenza dell’opera tutta si dimentica.

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