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Grand Budapest Hotel

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Grand Budapest Hotel

di Antonio_Montefalcone
8 stelle

Il Grand Hotel del nostro pazzo mondo

L’ottava pellicola di Wes Anderson è una commedia eccentrica, veloce ed elegante; esempio di grande cinema, fantasioso e inusuale, raffinato e intelligente; formalmente e stilisticamente curato con rigorosa e geometrica precisione, energia e competenza.

Quest’ultima sua fatica non è da meno rispetto alle sue precedenti e mirabili opere: ogni elemento del film s’integra efficacemente, dando vita ad un risultato brillante e affascinante.

 

Ralph Fiennes

Grand Budapest Hotel (2014): Ralph Fiennes

 

Vincitore del Gran Premio della Giuria a Berlino ’14, “Grand Budapest Hotel” ha la sua forza e il suo motivo di interesse nel ritmo indiavolato, pieno di gag surreali e omaggi ad un certo cinema d’epoca, dal Chaplin de “Il grande dittatore”, alle sofisticate commedie di Lubitsch e Wilder, o ai film di Mamoulian e Goulding; oltre che a stilemi tecnici tipici del passato (nonostante è ripreso in digitale celebra la pratica, anche datata, dell’analogico: vedi i formati di ripresa dei film muti).

 

Lo spettatore è continuamente coinvolto in quest’universo tipicamente Andersiano, eccentrico e antinaturale (frontalità dei corpi nell’inquadratura, traiettoria pulita delle carrellate, resa buffa delle azioni), oltre che travolto da una vicenda intrigante e avvincente, colma di colpi di scena, inseguimenti e intrecci gialli, trovate surreali e ironie venate di una certa crudeltà. Come nel piacevole inseguimento sugli sci, tutto è felicemente sopra le righe e velocizzato in questo film: Anderson suddivide la narrazione in capitoli e mette in scena un godibile spettacolo funambolico e delizioso, colmo di personaggi bizzarri ed episodi grotteschi. L’opera è vicina alle vignette dei libri animati o ai fumetti d’avventura (vedi il cartoon “The Fantastic Mr. Fox”), o a un sogno ad occhi aperti.

 

In una vicenda apparentemente semplice che gioca tutto sul ridicolizzare situazioni e interpreti, si scatenano una serie di avvenimenti che fanno passare il film dal registro della commedia al noir, dal dramma all’avventura: si attraversa cronologicamente cinquant’anni di Storia (pur soffermandosi maggiormente sugli anni ’30) e pur in un contesto dichiaratamente antinaturalistico e immaginario, la Storia assume una grande rilevanza.

 

In un mondo dai colori sgargianti e toni color pastello, una fetta di società europea è vittima di frivolezze, vanità ed egoismo: l’irreale Repubblica di Zubrowka richiama alle dittature dell'Est e al cieco fanatismo intollerante del Nazismo, da combattere continuamente. Attraverso il filtro letterario di Stefan Zweig, apertamente omaggiato dal film, il passato non assume più i contorni nostalgici del rimpianto del tempo che fu, bensì quelli utili per cercare un’altra strada nel presente, una via di fuga salvifica e di crescita futura.

 

E in questo l’opera si fa anche “politica”: soltanto nuove aperture verso l'estero e necessità di uscire da visioni tutte occidentali, possono salvare un' Europa preda dei suoi fantasmi, delle sue crisi, delle sue fragilità.

L’hotel del titolo e del plot diventa allora l’allegorico Grand Hotel del nostro mondo, di una parte di mondo, con una lente puntata in particolare su quello consumista e alto-borghese (soprattutto europeo), dove ogni stanza è abitata da personaggi strani oppure privi di scrupoli che riflettono le virtù, ma anche i vizi e i limiti dell’animo umano, e dei quali alla fine non si può che provare tenerezza o pietà.

Enorme importanza assume da questo punto di vista la variegata galleria di "assurdi" personaggi a cui ci si affeziona presto, e di un cast di interpreti eccezionali ben collocati tra loro.

Insomma, oltre che sorprendere, ammaliare e divertire, “Grand Budapest Hotel” emoziona, fa riflettere e offre uno spettacolo a massimi livelli espressivi.

 

Grand Budapest Hotel (2014): Trailer ufficiale italiano

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