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Il caso Enzo Tortora - Dove eravamo rimasti?

Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film

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La recensione su Il caso Enzo Tortora - Dove eravamo rimasti?

di OGM
8 stelle

Nelle mani di un grande Ricky Tognazzi, la tv di stampo popolare, per una volta, riesce ad essere giornalismo di inchiesta e cinema d’autore. La vicenda giudiziaria di Enzo Tortora rivive, sullo schermo, esattamente come tutti la ricordiamo, eppure splende di una nuova luce: quella della sincerità portata alle estreme conseguenze, con un amore per la verità che non cede alla tentazione di reinterpretare liberamente i fatti in nome dell’arte, o semplicemente per fare spettacolo. Il dubbio non ha diritto di cittadinanza laddove la certezza è stata stabilita dalla legge e confortata dall’esempio di un uomo che ha sostenuto la sua innocenza senza mai sottrarsi al giudizio, né alla  pena ingiustamente inflittagli. Gli eventi sono noti, ormai, in tutti i dettagli, però il messaggio, a distanza di tanti anni, ci giunge con immutato vigore, sostenuto, nella figura del protagonista, dalla forza dell’onestà e della determinazione, e nobilitato da una non comune dolcezza d’animo. Enzo Tortora  ha subito un affronto spietato, schiacciante, ripetuto nel tempo, eppure non si è piegato: si riassume così una storia che, sotto forma di miniserie e doppio dvd, ci ripropone oggi, nell’era dell’esasperazione comunicativa, un vecchio capitolo oscuro del sensazionalismo mediatico. All’epoca sono stati sufficienti la carta stampata e la televisione di stato per creare, da un momento all’altro, un personaggio di cui era impossibile non parlare, e su cui tutti ritenevano di dover avere un’opinione: un mostro o una vittima, un farabutto o un eroe. Il pubblica si divideva, come si usava dire allora, in innocentisti e colpevolisti: un sistema bipolare che sembrava modellato sull’assetto politico – italiano ed internazionale – del dopoguerra, e che si applicava perfettamente anche all’analisi della realtà:  è una logica a due valori quella che governa le indagini, il dibattimento in aula, così come la dialettica ad effetto che oppone l’accusa e la difesa, il bene e il male. Sul caso di Tortora il Paese si spacca, così come il mondo della malavita, e quello della magistratura: da una parte si trova chi si lascia abbagliare dal pregiudizio, corrompere da false lusinghe, o intimidire dall’evidenza dell’errore commesso, dall’altra chi non si lascia sviare, e coraggiosamente si impegna per vederci chiaro. In mezzo a questo divario, solo una persona si mantiene esente da dilemmi, evitando,  in primo luogo, quello tra l’essere e l’apparire. Enzo Tortora non si è schierato, non ha combattuto adducendo prove o gridando proclami, perché ha scelto la via semplice e pacifica di restare se stesso. Tognazzi lo ritrae come una roccia  sferzata dalla tempesta,  martellata dai colpi violenti di un tumultuoso confronto: il centro immobile e incrollabile di un caos costruito ad arte ed alimentato da una generale vigliaccheria. Questo racconto è un invito ad affrontare la vita con calma, coltivando la docile lentezza del pensiero libero che non ha paura: l’unico che, davvero, è alternativo e rivoluzionario, perché non si risolve nell’opzione tra destra e sinistra, tra un sì e un no, bensì punta tutto sulla propria matura, ed irripetibile, identità di soggetto cosciente. Dove eravamo rimasti? ripercorre un discorso che non si è mai interrotto, solo che, ad un tratto, è stato costretto a diventare più duro, diretto ed incisivo: le parole si sono accese, attraversando un periodo buio, per mantenere intatta la fiducia nella luminosa potenza del giorno.  

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