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Monuments Men

Regia di George Clooney vedi scheda film

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La recensione su Monuments Men

di Enrique
6 stelle

https://www.youtube.com/watch?v=xuzHbvbEIxo&list=PL2lEMhX9H6tmO4OU8HA3vS0wuo1RN7JnS&index=1

 

Monuments Men è un film di astratta dignità (popolare più che artistica o, volendo, artistica solamente in quanto ad oggetto l’Arte e le sue opere), ma di fattuale discreta inconsistenza.

 

Nell’impegno di una corsa contro il tempo (che, salvo per la scena finale, ha ben poco della corsa) per salvare il tracciato identitario della civiltà occidentale, si cimenta un drappello di uomini, di varie nazionalità ed estrazione professionale, ma tutti accomunati da un interesse comune; non tanto la sconfitta del nazifascismo (di cui il film assorbe a fatica solo taluni echi), bensì il recupero di una refurtiva; (a ben vedere) un’universalità di refurtive, il cui inestimabile pregio artistico si fa (per l’appunto) metonimia della intera Cultura artistica del mondo occidentale.

Matt Damon, George Clooney

Monuments Men (2014): Matt Damon, George Clooney

 

Nobiltà di intenti che segna certamente un punto a favore dell’operazione registica del buon caro George C., che pure riceve lustro (ma sul punto sono già meno convinto) dallo stuolo di artisti arruolati per l’occasione (che al drappello di uomini di cui sopra corrisponde); uomini scritturati per partecipare ad una grande impresa (ecco spiegata la mia diffidenza), si sono, però, visti caratterizzare in maniera decisamente poco lucida, senza smalto, poco valorizzati tanto nelle clip dove campeggiano indisturbati sulla scena quanto, quand’anche riuniti tutti assieme, siano chiamati a capitalizzare i vantaggi della coralità d’alto ingaggio. Così, mentre il cerchio si stringe attorno ai cattivi, eppure le distanze si acuiscono dai protagonisti e dall’interesse per la storia in sé.

John Goodman, Matt Damon, George Clooney, Bob Balaban, Bill Murray

Monuments Men (2014): John Goodman, Matt Damon, George Clooney, Bob Balaban, Bill Murray

 

Storia che, nella transizione dal soggetto alla sceneggiatura (ed a tutte le altre fasi produttive), perde, peraltro, altri pezzi; l’incoerenza dei registri espressivi, disorienta lo spettatore in fase empatica (luca826), ma anche presi singolarmente, codesti registri, si rivelano estremamente fiacchi (le parti di commedia non fanno ridere e quelle drammatiche non fanno piangere; champagne1).

 

Sufficienza di misura per il peso dell’idea di fondo (che comunque è stato un bene non lasciare sulla carta scritta), per la tenuta complessiva della storia (che pur raggiunge l’obiettivo di arrivare al grande pubblico, anche se, magari, soddisfacendolo solo a metà) e per la soundtrack, piacevole presenza, pronta a colmare i numerosi vuoti di pathos e partecipazione.

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