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When Evening Falls on Bucharest or Metabolism

Regia di Corneliu Porumboiu vedi scheda film

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La recensione su When Evening Falls on Bucharest or Metabolism

di OGM
7 stelle

Titolo alternativo: Metabolismo. La sostanza è banale, ma è difficile da assimilare. Un regista gira un film. Ha una relazione con una delle attrici. Tutto sembra chiaro, eppure il meccanismo si inceppa. La scena va ripensata, riscritta, rigirata. Il rapporto si arena. Il discorso si avvita su se stesso. Nemmeno la macchina da presa sa più da che parte andare, e quindi rimane ferma, davanti al solito dialogo a due, che divaga, rimbalza, senza mai approdare a niente. Forse lui potrebbe cavarsela chiamandosi fuori, con la scusa di una gastrite immaginaria. Tuttavia resta dentro, ad amalgamarsi con una inutilità priva di sbocco, in cui ogni concetto è sì ben delineato, però non riesce a prendere forma nella concretezza. Le situazioni del racconto non sanno come tradursi in movimenti sul set: bagno, corridoio, camera, o forse no, calze, vestito, spazzola adesiva, ma c’è sempre qualcosa che non va. Si continua a discuterne a vuoto, in mezzo ad una indifferenza della realtà che circonda i problemi del pensiero di un silenzio innaturale; è come se volesse stare ad ascoltare, anche se magari non serve a niente. Tocca a noi, che siamo curiosi, o forse abbiamo soltanto pazienza e rispetto per tutto ciò che concerne l’anima del cinema, seguire la vicenda con l’attenzione che spetta a tutte le storie prigioniere della propria tensione interiore, ansiose nell’intimo eppure quiete nei modi, frementi di preoccupazione per il loro sviluppo bloccato. Marius e Alina parlano spesso al passato, di ciò che (non) è stato, che una volta era diverso, e forse più giusto di adesso. La pellicola e il supporto digitale. La borsa di studio in Francia e il lavoro in Romania. Ogni spunto è buono per rimandare ad un altro punto del tempo e dello spazio, nel quale è già avvenuto tutto ciò che basta per togliere senso al presente, e fornire un pretesto all’inerzia senza fine: un’endoscopia già effettuata, un tipo di amore già sperimentato. La mente tende a migrare, ma è una fuga che si perde, che serve solo ad aggravare il disorientamento: si può provare a teorizzare sulle varie cucine del mondo, quella europea, cinese o araba, per stabilire quali sia più raffinata, e quale più barbara, ma si tratta di mere costruzioni intellettuali, improvvisate lì per lì. Una barriera impedisce di vedere oltre, di toccare con mano la verità, della quale si colgono solo piccoli cenni astratti: la porta resta socchiusa, mentre, dall’altra parte, Marius e Alina fanno l’amore. In un altro film, quella fessura si aprirebbe, l’obiettivo entrerebbe subito, per sbirciare, per  rivelare l’origine di quei sospiri che provengono dall’interno della camera da letto. Eppure ciò non accade. Siamo lasciati fuori, ad immaginare, che è quel poco che ancora ci è concesso, quando è ormai evidente che il definitivo è una categoria alla quale dobbiamo rinunciare. Non esiste un punto finale, se non il momento in cui si decide di lasciar perdere.   Corneliu Porumboiu, già autore di A est di Bucarest, ritorna a ritrarre lo sfaldamento di un’identità nazionale che, oltre che sulla vita politica, si ripercuote sull’arte, soprattutto su quella che è costretta ad occuparsi dell’oggi, di ciò che si sta compiendo accanto a chi scrive, chi recita, chi inquadra. L’attimo fugge, scandito dagli undici minuti di durata di una bobina. L’istante è il cassetto passeggero in cui depositare un frammento di significato che viva di vita propria, ma si leghi logicamente a tutto il resto. Un bel problema, se è vero che tutto scorre, in un flusso inarrestabile di cambiamenti, che non ci insegna nulla, e ci lascia fatalmente a mani vuote. 

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