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Prisoners

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Prisoners

di EightAndHalf
6 stelle

Il grigiore della vita quotidiana, nella campagna americana medio-borghese, in cui - come al solito - covano "demoni" che appena sfiorati possono sbocciare, è il sentore lontano e vagamente metallifero dell'Inferno che ribolle nel fuoco del Male sotto la Terra degli uomini peccatori. Se infatti questo stesso Male cerca di venire fuori attraverso follia, rapimenti e scoperte, allo stesso tempo tenta di ostacolare due emblematici percorsi che potrebbero portare, alla fine, alla verità. Mentre la pellicola, tendenzialmente monocromatica e "bagnata" dalla pioggia onnipresente, "uggiosa", si potrebbe sinesteticamente arrivare a dire, prosegue su due percorsi diversi, tracciati dalle due star protagoniste, un Wolverine a cui mancano solo gli artigli (Hugh Jackman all'ennesima potenza) e un Jake Gyllenhaal intraprendente e assai empatico, Denis Villeneuve insinua dei dubbi ancestrali che poi derivano dalle singole azioni dei personaggi, e che sono, ancora come in altre coraggiose pellicole americane (vengono in mente Zodiac o qualcosa addirittura di Eastwood), fonte di paura e di tensione morale. Tra cocci di vendetta e schegge di giustizia, i due protagonisti cercano, nel Bene, nel Male e in entrambe le dimensioni, di schiarire con l'ostinazione e, nel caso di Hugh Jackman, con un 'fine che giustifica i mezzi', la realtà misteriosa e controversa di un'enigma che si fa sempre più inquietante, mentre il film fa passare due ore e mezza senza che lo spettatore se ne accorga minimamente. Con un'ambientazione resa alla perfezione dalle tinte noir e dai volti emaciati di corpi tesi verso la disperazione, il thriller si fa affiancare dal dramma psicologico e si rivolge agli spettatori tramite carrellate notevoli, lunghe e accoglienti, che rendono spaventosamente affascinante a vedersi la sporcizia e il lerciume che crescono fra i rami di un bosco o in un bagno che è diventato stanza delle torture. Il sangue scorre poco ma inietta gli occhi degli spiriti umani indomiti e sbraitanti, piangenti e avidi di conoscenza, che allo scopo paradossale della difesa del proprio nido spaziano nel furore e nella voglia di sottomissione. Se Prisoners non dice realmente nulla di nuovo intorno ai misteri borghesi sottocutanei di certa America perbenista e semi-allegra (si avverte spesso il sussurro spietato, all'interno della famiglia, di difetti preesistenti alla tragica sparizione delle due bambine [vedi l'alcolismo latente del padre]), dall'altro lato riluce del dispendio di mezzi stilistici assai convincenti e di recitazioni affilate ed efficaci per un risultato più che soddisfacente, teso ed inquietante, in cui il tono coopera sempre con quello che lentamente si insinua nella mente in costante lavoro dello spettatore. L'intrigo poliziesco fa il suo dovere e costringe a seguire ogni singolo passaggio ponendo quesiti e dando quando vuole lui le spiegazioni (e alla fine le dà tutte), e poi la dimensione psicologica dei caratteri si rivela solida nella sua messa in scena e profondamente scandagliata, tanto da apparire armonica ed equilibrata con i costanti riferimenti alla religiosità cristiana, che ha fede in un Dio che regna su un mondo che ha abbandonato, in cui i peccati di cui potenzialmente sono fautori gli esseri umani possono abbruttire paesaggi forse un tempo verdi, possono infangare l'ingenuità scherzosa dell'infanzia e trasformarla in sconvolgenti atti di misantropia (o odio della vita, vedi il cane quasi strangolato), o finiscono per non dare più o meno ragione al singolo personaggio, più debole che capace, più ostinato che razionale, mentre tutto si dirige verso un colpo di scena finale che vuole chiudere il tutto (neanche tanto male) rivelando un piano di natura veramente diabolico che è una vendetta nei confronti di un Dio disattento o, forse, non più misericordioso, creatore di gabbie nuove di zecca in cui i serpenti della tentazione morbosa vengono fuori dalle calzine rosa di una bambina. Il film di Villeneuve è un agghiacciante e sorprendente (quanto risaputo) apologo della razza umana e dei suoi errori lungo la strada verso l'agognata verità. Siamo origine, per natura, della nostra stessa materiale sofferenza.

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