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The Green Inferno

Regia di Eli Roth vedi scheda film

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La recensione su The Green Inferno

di giurista81
6 stelle

Estremo omaggio del figlioccio di Quentin Tarantino, Eli Roth, ai cannibalici italiani degli anni '70. Roth prende spunto da Tarantino ma cita Tarantini (Michele Massimo) nel far precipitare un aereo in piena giungla amazzonica come avvenuto in Nudo e Selvaggio, pellicola che chiuse, un po' all'insegna della farsa, il genere nel lontano 1984, prima del tentativo di rianimazione operato da Bruno Mattei (che da Roth prende la paga e non certo per differenze dei capitali a disposizione). Dall'opera di Tarantini si riprendono anche le caratterizzazioni di alcuni personaggi femminili, che si lamentano perché han perso la borsetta o perché i cannibali potrebbero rovinare i loro capelli. Certo, non si raggiunge mai la demenzialità propria del film italiano e si segue sempre un registro solido senza sbalzare da un sottogenere e l'altro.

Girato nel 2013, a quasi sette anni di distanza dal precedente Hostel part.2, complici i tentativi sperimentali da sceneggiatore ma soprattutto da attore tentati dal regista, è giunto in Italia con ben due anni di ritardo e penalizzato dal (giusto) divieto ai minori di anni 18, soluzione che non può che contenere ulteriormente il pubblico (limitato anagraficamente). Il regista, che firma anche il copione, preme deciso sul pedale della violenza e del gore, toccando l'apice con un depezzamento che non si vedeva, in tal modo, dai tempi di Buio Omega di Joe D'Amato. Purtroppo lo script, dopo una prima parte funzionale a modernizzare il genere con la sottotrama del disboscamento incontrollato delle foreste amazzoniche a beneficio delle grandi società multinazionali, si perde in una seconda parte stagnante negli sviluppi di trama, ma che disturba a dovere lo spettatore. Violenze psicologiche (la protagonista stuprata con un fallo acuminato), ma soprattutto fisiche (decapitazioni, smembramenti, un individuo mangiato vivo) colpiscono allo stomaco del pubblico (costretto a guardare così come i prigionieri rinchiusi in una cella abbandonata all'intemperie), grazie anche ai sempre perfetti effetti del duo Berger-Nicotero. Roth opera una specie di inversione dei fatti raccontati da Ruggero Deodato. I suoi indigeni sono dei cacciatori di teste, assai cruenti, per nulla ospitali. Le vittime invece sono degli attivisti che si sono recati in Perù per salvarli dalle società militarizzate che vorrebbero sterminarli. Anche qua abbiamo però l'elemento della manipolazione massmediatica, questa volta indirizzata verso l'ipocrisia. Il leader degli attivisti (Levy) vuol infatti far emergere l'impegno e la spinta umanitaria della sua associazione, quando invece è in rapporti con altre società allo scopo di far saltare gli affari della concorrenza operando un boicottaggio messo in atto grazie all'informazione via internet esaltata dalle riprese sul campo (con i cellulari). A ogni modo, per la tribù non fa molto differenza. Con loro non è possibile né comunicare (anche se la protagonista riuscirà a farlo con un bambino e la cosa la salverà) né trattare e per gli attivisti, al di là dei singoli scopi, non ci sarà scampo (sviluppo telefonato).  Alla fine resterà un solo superstite che coprirà le "malefatte" degli indigeni (e non dei colleghi, come con Ruggero), facendo emergere una realtà diversa dalla reale in modo da poterli proteggere. Gesto nobile, perfettamente contrario a quello ricercato dai reporter di Cannibal Holocaust, anche se un po' forzato, perché data la violenza perpetrata (sono degli animali) risulta assai difficile poterli giustificare. 

Bellissime le scenografie, non a livello di quelle italiane, ma comunque funzionali. Presente un ragno, qualche serpentello e un giaguaro nero, forse un po' poco, ma considerato che il budget raggranellato da Roth e soci è praticamente zero, non c'è da lamentarsi. Sono stati appena 6 i milioni di dollari investiti per quello che è stato un successo di mercato comunque inferiore alle attese. 

Curioso il cast artistico formato da attori poco conosciuti ma ben diretti. Roth è bravo soprattutto nella direzione degli attori piuttosto che nella scelta delle inquadrature o nell'offrire sequenze di particolare rilievo tecnico. Sono i cileni Lorenza Izzo e Ariel Levy (sembra Fernando Alonso) a ricevere i ruoli principali. Brava soprattutto la Izzo, modella classe 1989 dai tratti europei, scoperta da Roth, insieme a Levy, in occasione di Afetrshock(2012), pellicola interpretata e prodotta da Eli Roth per la regia del cileno Nicolas Lopez (coproduttore in occasione di Green Inferno).Ruolo da comprimaria per Sky Ferreira (non impressiona), giovane cantante - genere dance-pop - americana, in una delle sue rare apparizioni cinematografiche. Il resto sono prevalentemente attori provenienti dai circuiti televisivi, chiamati a urlare e disperarsi. Non male i costumi (indigeni dipinti di rosso, giallo o nero a seconda della gerarchia), sufficiente la fotografia di Quercia. Anonima la colonna sonora. 

Si dice che Roth stia lavorando a un secondo episodio, francamente non se ne sente la mancanza. Solo per fanatici del genere cannibalico. Niente di nuovo, ma funzionale a ricordare i bei tempi dell'horror italiano. Si astengano i suscettibili e coloro a cui da fastidio la vista del sangue. Violento.

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