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Carl Mørck - 87 minuti per non morire

Regia di Mikkel Nørgaard vedi scheda film

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La recensione su Carl Mørck - 87 minuti per non morire

di OGM
8 stelle

Il custode delle cause perse. Ma non è questo il titolo dell’edizione italiana del romanzo dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen, da cui questo thriller è stato tratto. La donna in gabbia: la traduzione letterale del titolo originale sposta l’accento dal protagonista maschile (l’ispettore Carl Morck, addetto al reparto dei casi irrisolti) a quello femminile (la giovane politica Merete Lynggard, finita ostaggio di un maniaco). Nel film, si direbbe che il dramma non sia tanto quello di lei, rapita e rinchiusa per anni in una vecchia camera iperbarica, senza alcun contatto con il mondo esterno. Il tormento pare appartenere soprattutto a lui, reintegrato nella polizia dopo aver condotto una missione dall’esito tragico, ed assegnato un incarico punitivo ed umiliante: la catalogazione di pratiche relative ad indagini andate a vuoto.  Carl viene mandato a lavorare in uno scantinato, in mezzo a pile di scatoloni. Ma l’intervento del suo assistente, Assad, basterà ad invogliarlo a sfidare la sorte e gli ordini dei superiori per tornare al suo mestiere di detective.   Deciderà di cominciare proprio dalla vicenda di Merete, misteriosamente scomparsa durante un viaggio in traghetto, e della quale non si hanno più notizie da cinque anni. La sparizione è stata  attribuita ad un suicidio, ma Carl non ci sta. Per scoprire la verità dovrà  indagare in segreto, senza autorizzazione, affrontando ostacoli e pericoli di ogni genere. L’eroe è lui, anche se la vera, disumana sofferenza, appartiene a lei, la prigioniera che vive in uno spazio angusto, nella più totale solitudine, respirando aria compressa, e senza mai vedere la luce del sole. Tuttavia, le due angosce palpitano all’unisono. Lui ignora cosa stia succedendo alla donna, ma in fondo è come se sapesse. Non può fare a meno di cercare in ogni modo di venire in suo soccorso, facendosi largo tra i  tanti dubbi e i mille punti oscuri, per raggiungere la certezza da dimostrare e la vittima da salvare.  Se questo film non fosse così insistentemente lambito  dalla tentazione dei cliché ad effetto dell’action movie commerciale, sarebbe una finissima poesia di tensione condivisa a distanza, di ansia che brancola nel buio ma non smette mai di lottare, pur nell’apparente assenza di speranza. Il ritmo è scandito dal battito dell’ostinazione, che ha la forza di passare attraverso l’assurdo e il silenzio, in mezzo ad un mistero fitto ed impenetrabile come il mutismo indifferente di Uffe, il fratello cerebroleso di Merete, unico testimone dei fatti che Carl sta tentando di ricostruire. La chiave del giallo è sepolta al di sotto del livello della coscienza, appesa ad un filo di irrazionale consonanza tra anime. Le storie di Carl e Merete occupano due pagine vicine, che però, fino all’ultimo, si voltano fatalmente le spalle.

 

[PROLOGO] “Graffiò le pareti lisce con la punta delle dita fino a farle sanguinare e batté i pugni contro i vetri spessi fino a non sentire più le mani. Almeno dieci volte aveva raggiunto a tentoni la porta d’acciaio, infilato le unghie nella fessura e tirato, ma la porta non si muoveva di un millimetro e il bordo era tagliente.” […]

 

[CAPITOLO 1] “Carl fece un passo verso lo specchio e si passò un dito sulla tempia, nel punto in cui la pallottola lo aveva sfiorato. La ferita si era rimarginata ma la cicatrice risaltava evidente sotto i capelli, ammesso che qualcuno si fosse preso la briga di guardarci.  – A chi vuoi che freghi qualcosa? – pensò, esaminandosi la faccia.”[…]

 

(brani tratti dal romanzo di Jussi Adler-Olsen). 

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