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Venere in pelliccia

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Venere in pelliccia

di Dottor_Stranamore
9 stelle

In un piccolo e malandato teatro parigino, il regista Thomas (Mathieu Amalric), dopo una lunga giornata di provini andati male, si imbatte in Vanda (Emmanuelle Seigner), una talentuosa attrice. Vanda, un vero e proprio vortice di energia, gli travolgerà la serata afferrando con veemenza le redini dell’opera. Tale vortice risucchierà il timido regista, oramai ossessionato dalla bella attrice.
Il grande regista polacco Roman Polanski, sin dal suo primo lavoro “Il coltello nell’acqua”, ha sempre mantenuto una certa bellezza artistica e tematica.
Si è imbattuto sempre in difficili ed insolite argomentazioni; il rapporto uomo-donna lo ha da sempre affascinato e portato al limite frantumandolo come in “Luna di fiele”; il director ci racconta ancora una volta un amore estremo.
Un conturbante dramma che porta alle estreme conseguenze la torbida eredità ottocentesca: ogni rapporto d’amore è un rapporto di potere governato, quasi a nostra insaputa, dall’erotismo e dal dolore/piacere fisico. In un certo qual senso un’inappuntabile incarnazione delle teorie Freudiane. Tratto da un testo teatrale di David Ives, a sua volta ispirato al romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch, padre del sesso sadomaso; un’opera teatrale sulla natura istintiva dell’attrazione carnale.
Con audacia e sapienza, insieme allo sceneggiatore David Ives, mettono a nudo le dinamiche tra schiavitù e dominazione, vittime e carnefici (balena alla mente “Carnage”), desiderio e oggetto del desiderio, sacrificio e soddisfazione; una ricostruzione geometrica e innovativa del romanzo.
I personaggi scivolano tra finzione e realtà, scambiano i propri ruoli, scambiano le loro maschere quotidiane, indossandone di teatrali; si accorgeranno presto che proprio la finzione è realtà e che la realtà in fondo non è poi così reale.
Un’ottima chiave di lettura del film si cela e si riassume in un pensiero del grande regista Abel Ferrara: “ La gente mi dice: «Ma nella vita reale… ma di cosa parlano? Cos’è la vita reale? Sul set davanti alla macchina da presa, non sarebbe più vita reale? Cos’è, si passa in un’altra dimensione quando si gira un film? »”.
Stabilisce un nuovo record azzardando nella scelta di due soli attori, al suo esordio furono tre (Il coltello nell’acqua).
Ritorna in mente anche il capolavoro “L’inquilino del terzo piano”, dove recitò da protagonista lo stesso Polanski, con la metamorfosi del personaggio che si ritrova ad essere donna. Ancora una volta claustrofobia, rinchiusi all’interno di uno spazio da cui non è possibile uscire.
Convincenti gli attori, interpretazione sopra le righe di Emanuelle Seigner, sinuosa e sensuale, musiche divine.
Il lungometraggio è il teatro nel teatro nel cinema, una perfetta matriosca; l’abile regista ha saputo combinare elementi teatrali all’arte cinematografica: bellissimo il piano sequenza iniziale, con la pioggia battente sullo schermo e con un prodigioso carrello lungo il viale alberato.
Il maestro, riesce a sposare bene le due forme d’arte , intrecciando con efficacia ed astuzia “Le Baccanti” di Euripide e i vangeli apocrifi con le trame del romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch al quale risale l’origine del termine “masochismo”. Molte citazioni dunque come anche la canzone “Venus in Furs” dei Velvet Underground che simbolizza l’atmosfera del film.
La professionalità del regista è tale da dimenticare quasi che la scenografia è un teatro vuoto e ci si immedesima totalmente con i personaggi; è come se si fosse sul palcoscenico a recitare la propria parte. Lo spettatore rimane folgorato, senza ombra di dubbio uno dei migliori film del 2013.

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