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Il capitale umano

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Il capitale umano

di Bojack
10 stelle

Lo confesso: amo alla follia il cinema di Paolo Virzì.

Per me Virzì è uno dei maggiori autori italiani di sempre, vero grande erede della “commedia all’italiana” dei Comencini, De Sica, Scola e via dicendo: i suoi film sono splendide opere di intrattenimento, storie con le quali spesso si ride, ci si diverte. Ma il sorriso diventa quello amaro quando si scopre che dietro a tutte le vicende ci sono drammi, rancori, gelosie, ignoranza, sentimenti vecchi come il mondo che Virzì sceglie di sbatterci in faccia, dicendoci che dobbiamo guardare dietro le apparenze, grattare la patina di superfice per capire cosa nasconde davvero una storia.

Il Capitale Umano” è forse la sua opera meglio riuscita e, attenzione, di commedia qui non c’è nemmeno l’ombra! E’ come se il nostro autore abbia compiuto, dagli esordi ad oggi, un percorso di disvelamento della realtà che lo ha portato a tirare fuori, in questa pellicola, solo gli aspetti più lividi e marci dell’essere umano.

La storia racconta di un piccolo borghese (un eccellente Fabrizio Bentivoglio) che entra in contatto con uno spericolato uomo d’affari (Fabrizio Gifuni totalmente immedesimato nel personaggio come sempre) i cui figli vivono una storia d’amore adolescenziale: l’investimento accidentale di un uomo in bicicletta e l’enorme e fragoroso contrasto tra le due famiglie faranno esplodere i conflitti, e le vicende che ne scaturiscono faranno precipitare il racconto verso un inevitabile precipizio.

Gli attori sono diretti in maniera magistrale: Valeria Bruni-Tedeschi è straordinaria nel rappresentare la figura di una donna resa succube e priva di personalità per l’insopportabile peso psicologico del marito (Gifuni), celebre “mago” dell’alta finanza e padre-padrone di tutto ciò che cade sotto i suoi occhi.

Rendono in maniera eccellente anche gli attori non professionisti (dei quali Virzì ama circondarsi), diretti chiaramente in maniera impeccabile. Ed anche gli aspetti tecnici del film compiono un grande passo in avanti rispetto alle precedenti prove del regista livornese: una fotografia quasi sempre luminosissima fa da contraltare alla scurezza dei temi e la macchina da presa compie volteggi di grande efficacia mai fini a se stessi, ma sempre utili a raccontare la storia. Ed anche il meccanismo del racconto della vicenda in capitoli, secondo le varie visuali differenti dei personaggi, è, seppur non originalissima, estremamente funzionale nella profonda comprensione di quanto accade.

I temi che rimangono nella mente sono quelli della meschinità dell’essere umano, di quanto l’apparenza sia divenuta cardine nella vita delle persone, di quanto siamo disposti a perdere per ottenere risultati effimeri o per riempirci le tasche: vedere un padre che “vende” la figlia è un vero pugno allo stomaco.

Questo film merita un 10 e lode perché tocca nel profondo, perché rappresenta le grandi potenzialità del cinema italiano, e perché, come solo i film migliori sanno fare, una volta terminati quei 107 minuti se ne passano altri 10000 a comprendere appieno tutto ciò che ci è stato raccontato.

 

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