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Il capitale umano

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Il capitale umano

di OGM
8 stelle

Duecentodiciotto e passa milioni di euro. È il valore di una vita umana tragicamente perduta. Il calcolo si può effettuare sulla base di precisi parametri, diversi da individuo a individuo. Il romanzo di Stephen Amidon sembra ossessionato dai numeri. L’idea della ricchezza quantificabile è il filo conduttore di una vicenda che stritola i sentimenti per il semplice motivo che questa voce non rientra nei bilanci. Solo le compagnie assicurative ne tengono conto, quando si tratta di stabilire il risarcimento per i parenti della vittima di un incidente. E non si sa davvero quale tipo di cinismo sia peggiore: quello che determina il peso in oro dell’amore, o quello che se ne infischia del tutto, perché guarda solo alle quotazioni dei titoli di borsa, agli esiti delle operazioni finanziarie, all’andamento dei mercati. In casa di Giovanni Bernaschi, un facoltoso imprenditore brianzolo, si respira solo l’odore dei soldi. È un profumo che a volte sa di ipocrisia, di serenità di facciata e di finta amicizia, e a volte, invece, si fa contaminare dal sordo fetore della rabbia e della paura. Tutto dipende dai momenti, da quanto ci si aspetta di guadagnare, e da quanto si teme di perdere. Questo è l’unico aspetto dell’economia familiare che viene tenuto strettamente sotto controllo. Tutto il resto, ciò che nulla ha a che vedere con la competizione ed il successo, ha appena il tempo di attraversare il cuore, per un breve momento e in gran segreto, prima di essere disprezzato, calpestato, gettato al vento. Succede con il sogno artistico di Carla, la moglie di Giovanni, che è ancora attaccata al teatro, la sua passione di gioventù. Ed accade anche con le speranze del figlio Massimiliano, che vorrebbe vivere felice con la sua ragazza, e invece finisce ben presto per ritrovarsi solo, inappagato pur in mezzo al lusso. Quel turbine distruttivo trascina con sé le esistenze di chiunque si avvicini a quell’ambiente, per affari, per motivi personali, per puro caso. È il destino che tocca a Dino Ossola, piccolo immobiliarista trascinato con l’inganno in un investimento rischioso; e a sua figlia Serena, coinvolta suo malgrado nei guai di Massimiliano, con cui ha una relazione. Di mezzo ci va anche un povero dipendente di una ditta di catering, colpito da un pirata della strada mentre, una sera, in bicicletta, torna a casa dal lavoro. Tutti gli eventi ruotano, in qualche misura, intorno alle manovre di Giovanni, che pensa unicamente  ai grandi guadagni,  che non vede altro, eppure esercita, senza saperlo, un potere infernale sull’intero universo circostante. In nome del denaro si può mercificare l’uomo. Oppure si può, semplicemente, dimenticarlo. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: nessuno conta più nulla, ed è condannato a  sparire, in senso letterale o figurato. In scena rimangono solo smemorate marionette, mentre, dietro le quinte, e senza fare rumore, la vita vera continua la sua strenua battaglia contro l’indifferenza e il dolore. Con Il capitale umano, Paolo Virzì porta la sua analisi dei divari sociali in un ambiente esclusivo ed ermetico, in cui le disavventure si svolgono di nascosto, in una sfera privatissima di cui nessuno ha voglia di parlare. Proprio il silenzio e la bugia sono le fonti delle peggiori sofferenze; fa male non essere liberi di esprimersi, non poter ammettere i propri errori, perché solo con la sincerità è possibile cercare conforto. Questa storia è fatta di rospi ricacciati in gola che prima o poi si mettono ad urlare: il suono è assordante, inizialmente incomprensibile, e diventa chiaro solo quando è troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi per tornare uniti. 

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