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31 gradi Kelvin

Regia di Giovanni Calvaruso vedi scheda film

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La recensione su 31 gradi Kelvin

di EightAndHalf
7 stelle

Sei personaggi in cerca di... 
Ad Alcamo, Sicilia, è il gelo, ben sotto il punto di congelamento, e le quotidianità di una certa umanità lentamente si trasformano in tedio di vita, una catena di montaggio da cui solo l'affezione e il rapporto umano può tirare fuori. Incombe il timore dell'alienazione. Dopo Salvo e il deludente Via Castellana Bandiera ecco un'altra produzione tutta siciliana, circa 420.000€ per un affresco corale tutt'altro che folkloristico e che sfiora appena appena il vittimismo. La Sicilia è diventata grigia e plumbea, senza Sole, e seppure si trovi così invadente alle spalle dei sei protagonisti non impone mai la propria identità, e fa da sfondo per una storia assolutamente universale di ricerca di umanità. Diretto con mano acerba ma convinta dall'esordiente Giovanni Calvaruso, 31 gradi Kelvin stupisce per come riesca a far affezionare, senza introspezioni impegnative ma con semplici tinte veriste (tradite appena da un chiarificatore commento musicale), a dei personaggi normali e privi di eroismo, forse vittime ma che hanno anche una grande forza di volontà e un potente libero arbitrio, che cambia nel bene e nel male le loro esistenze precarie. Ed è proprio la "precarietà ad andare a invadere non solo il settore politico e sociale, ma anche quello sentimentale ed esistenziale dei personaggi" (Giovanni Calvaruso), nella volontà di osservare più gli effetti che le cause di una crisi morale che spinge e convince a perseguire una strada che si accomoda nell'abitudine, e che soltanto di fronte a discontinuità importanti (l'omosessualità, l'immigrazione e la prospettiva di un omicidio) riesce a scrollarsi di dosso un po' di quel gelo, anche a costo di assomigliare alle figure baconiane che una delle protagoniste disegna come passione, e per le quali ha abbondonato gli studi. La scelta poi di fare dei protagonisti una coralità che più o meno casualmente entra in contatto (un po' come A casa nostra della Comencini, che non si trasforma fortunatamente in A cOsa nostra) è coraggiosa, innovativa, capace di dare una spinta realmente moderna a una terra che è stata vittima di generalizzazioni e di banali ridimensionamenti (almeno di recente al cinema) e che finalmente assume, con questo piccolo film, la dignità di una banlieu di L'haine di Kassovitz o della periferia di L'esquive di Kechiche. Ovviamente questo non sottende un paragone fra 31 gradi Kelvin e i due capolavori suddetti, ma vuole stare a indicare come il cinema italiano, quello meno finanziato e più ridotto, sia quello che realmente può smuovere una produzione piena zeppa comunque di piccole gemme. Non siamo certo di fronte a un'illuminazione, molte sono le ingenuità (che poi sono anche purezze) proprie di un esordiente che lavora a casa propria, molte le incertezze in ambito stilistico e registico, ma il film gode d'altra parte di una fluidità narrativa indubbia, che accorcia ancora di più una breve durata, e sa sensibilizzare nei confronti di situazioni viste senza prurigine e con reale partecipazione. Sebbene pesino certe schematizzazioni (come i vari personaggi che solitari si uniscono a due a due), rimane una ottima considerazione degli spazi (fabbriche, case più o meno accoglienti, strade piene zeppe di pozzanghere), dei tempi (realistici), dello sguardo (che nonostante le incertezze suddette dimostra di saper calibrare al metro la dinamicità iperrealistica e la carrellata che ispira empatia) e dei personaggi (tutti perfettamente inquadrati). La sensazione, alla fine, è quella di aver visto un insieme di eventi come tanti, che non cedono alla narrazione ordinaria ma procedono per situazioni reali, 'verghiane', anche se ricche di filantropia. Il quadro è variegato: non tutti i personaggi si salvano, altri si chiariscono a vicenda, altri si lanciano in grandiosi atti di solidarietà, senza idealizzazioni né populismi, ma con la ferma convinzione di voler dare luce a un mondo che di soleggiato non ha più niente.

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