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Il caso Kerenes

Regia di Calin Peter Netzer vedi scheda film

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La recensione su Il caso Kerenes

di supadany
8 stelle

Opera importante, ulteriore esempio della vitalità del cinema romeno, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino 2013 (dove ha anche conquistato il Premio della Critica internazionale), dotato di un soggetto basato su di un’impalcatura forte che sviluppandosi attorno ad un fatto drammatico prevede diversi obiettivi così come più di una chiave di lettura.

Da tempo il rapporto tra Cornelia (Luminita Gheorghiu) e suo figlio Barbu (Bogdan Dumitrache) è deteriorato, ma quando quest’ultimo è coinvolto in un tragico incidente nel quale è morto un ragazzino, la donna agisce velocemente per cercare di salvare il figlio, smuovendo le sue amicizie importanti, parlando coi testimoni e intraprendendo ogni azione possa portare beneficio al figlio.

Ma Barbu ha tanti problemi e salvarsi dalla prigione non è il suo cruccio principale.

 

Luminita Gheorghiu

Il caso Kerenes (2013): Luminita Gheorghiu

 

Film che si avvale di una forma drammaturgica profonda e solida che utilizza l’incidente per mostrare in maniera ancor più evidente le difficoltà di un rapporto famigliare distrutto.

Sia Cornelia che Barbu sono due personaggi che creano distacco, la prima è disposta a tutto pur di salvare suo figlio dalla giustizia dimenticandosi del resto ed è sicuramente il frutto più antipatico dell’elite sociale, quella classe di potere che ricorda amaramente il passato, mentre Barbu ne è il frutto indiretto, viene presentato nel peggior modo possibile, riottoso, indisposto, noncurante, ma lungo il corso degli eventi vengono via via aggiunti dettagli (come il rapporto con la sua compagna) che ne producono un quadro un po’ diverso (le sue tante paure non sono casuali) e che trova in un dolente finale la sua summa.

Un film che riesce a far fermentare i peggiori sentimenti cambiando pelle, che vede il suo centro nel rapporto madre-figlio e non prettamente nel dramma che invece lega loro controvoglia due famiglie assai distanti (l’integrità di quella più povera crea un contrasto ancor più accentuato) e che infatti prevede un epilogo forte, ma anche sorprendente (conta più la vita che un fatto per quanto dei più atroci pensabili e con conseguenze gravi) e netto.

Un’opera nervosa, questo a partire dall’utilizzo della telecamera, scritta con puntigliosità ed estrema conoscenza dei propri obiettivi che infatti vengono pienamente conseguiti, sospesa tra un dolore tangibile, priorità ancestrali e qualcosa dell’animo più difficile da spiegare, ma rappresentato sollecitando l’inconscio.

Risultato di qualità.

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