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Il passato

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

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La recensione su Il passato

di giancarlo visitilli
8 stelle

Perché, poi, esiste il cinema scritto. Il cinema scritto bene. E che fa la differenza anche rispetto al cinema solo pensato e/o girato. Questo di Asghar Farhadi è grande cinema, perché, appunto, a fondamento c’è chi ha scritto una sceneggiatura-capolavoro.

Per il suo film, lontano dal suo paese d’origine, il regista iraniano sceglie Parigi. E’ qui che Ahmed torna dall’Iran, dopo quattro anni di assenza. Deve ufficializzare il divorzio con Marie. Trascorrendo del tempo con la vecchia famiglia, si ritrova al centro di crescenti tensioni familiari che affondano le radici in un segreto del passato.

Si tratta di un film a scatola cinese, che cresce, si ricostruisce e che dipana la storia, per mezzo dell’indagine. E’ il modo, a cui è stato sempre fedele Asghar Farhadi (Una separazione 2011): utilizzare un singolo episodio, per disvelarne, gradualmente, i contorni, che diventano il centro e l’essenza della storia. Assomiglia tanto all’Antonioni degli esordi e di Blow-up (1966) questo film di Farhadi, che pone in piano lungo, anzi lunghissimo, questa volta, il contesto politico del suo paese, soffermandosi, piuttosto, su altri aspetti, soprattutto quelli psicologici e sociologici. Gli uomini e le donne di questa nuova opera, infatti, si chiedono il senso delle cose. Compreso quello del presente, per interpretare il passato. E il presente, implica anche che potrebbe bastare ridipingere i muri di casa, per cercare di ridare colore, luce e un nuovo senso ai luoghi. Sebbene, per esempio, Marie, anche in tale ricostruzione della memoria è completamente ostacolata da uomini che fanno fatica a dimenticare e ricominciare, tant’è che essi sono ‘allergici’ alla vernice. E allora, ci si accorge che questo film è pura poesia, strepitoso racconto, che utilizza tutte le figure retoriche per fomentare l’assenza e l’essenza di stati d’animo alle prese con le proprie gigantesche ombre. Soprattutto durante la seconda parte del film, ci si accorge di essere alle prese con un film che ti pone dinanzi al muro di gomma delle responsabilità, che prevedono vendette, fughe e silenzi. Come nella poesia dell’ermetismo, l’infinito diventa voce del verbo per collettivizzare le colpe.

Degna di nota è anche la capacità di Farhadi di rendere la capitale francese lontanissima dall’immagine turistica: la fredda periferia, ha anch’essa l’immaginario antonioniano di L’avventura (1960), di L’eclisse (1962), fra desolazione, vuoto e assenza e rassegnazione dei protagonisti, che vivono la loro relazione per colmare un vuoto lasciato da qualcun altro.

Straordinaria la capacità interpretativa degli attori, in stato di grazia, Ali Mosaffa e Bérénice Bejo, quest’ultima, per questo ruolo, si è guadagnata il Prix d’Interprétation féminine, all’ultimo Festival di Cannes.

Il passato é un film rigorosissimo, dalla forza incredibile delle parole, dei silenzi e delle tante parole non dette, merito di una sapienza narrativa poco più che rara. Imperdibile.

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