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Il passato

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il passato

di laulilla
9 stelle

Si è discusso se il film, da conoscere sicuramente, sia all'altezza dei suoi precedenti. Quand'anche non lo fosse é, in ogni caso un film bello e coinvolgente, molto accuratamente costruito.

 

Dopo aver lasciato l’Iran, soffocato dalle imposizioni e dai divieti, Farhadi colloca in una cittadina della banlieu parigina questo film, prodotto e girato in Francia nel 2013, che sembra idealmente prendere le mosse dal finale di  Una separazione (2011).

 

La vicenda

 

A Sevran, nei pressi di Parigi vive, insieme alle due figliolette - Lucie (Pauline Burlet) e Lea (Jeanne Jestin) -  Marie (Bérénice Bejo), giovane donna che lavora nella farmacia quasi attigua alla tintoria di Samir (Tahr Rahim), l'uomo che dovrebbe diventare il suo terzo marito.

Nulla ci viene detto del passato di lei, ma presto apprendiamo che sono del primo marito le bambine, alle quali aveva fatto da padre Ahmad (Ali Mosaffa), il secondo marito, la cui presenza anche a distanza di anni, è da tutte e due rimpianta.

Ahmad, invece, se n’era andato, tornando in Iran, forse estenuato dalle continue liti di lei che avevano alzato fra loro una vera barriera, richiamata dalla metaforica lastra di vetro che all’aeroporto, al ritorno di lui, ce li presenta separati irrimediabilmente.

 

Marie l’aveva voluto a Parigi perché per sposare Samir doveva ottenere il divorzio da lui e aveva bisogno della sua presenza in tribunale.
Il suo nuovo compagno è padre del piccolo Fouad (Elyes Aguis): ora abitano tutti insieme da lei, nella sua casa grande e trascurata, che entrambi cercano di rendere più accogliente riparando i guasti e ritinteggiando le pareti e le porte scrostate (senza avvedersi però dell’ingorgo – significativo ed emblematico – sotto l’acquaio di cucina, che potrebbe allagare la casa, rendendo vane tutte le iniziative di restauro in corso).

Samir, anche se ama la sua compagna, che è in attesa di un figlio suo, è angosciato da due pesanti problemi: dalla gravità delle condizioni della prima moglie, da molto tempo in ospedale in stato di coma irreversibile per aver tentato il suicidio senza apparente motivo e dalle inquietudini di Lucie, l’adolescente che non lo ama e non lo accetta e gli sta facendo una guerra senza esclusione di colpi.

 

L’arrivo di Ahmad, se sembra dapprima foriero di ulteriori frizioni in quella situazione già molto tesa, si rivela utile invece per le sue capacità di mediatore comprensivo, che cerca di far emergere i veri motivi delle contrapposizioni più accese: quelli fra Marie e Lucie, la piccola ribelle che non vorrebbe più tornare a casa, e quelli fra Lucie e Samir.

 

Questi sono i protagonisti del gioco crudele che Farhadi mette in scena: tre adulti, tre bambini e una donna in coma, assente, ma incombente sulla famiglia che sta per formarsi, in cui gli adulti e persino Lucie sono lacerati da profondi sensi di colpa, le cui radici emergeranno a poco a poco nel corso del racconto, che procede come un thriller ben costruito che trasmette tensione anche a noi.

 

 

 

In questa sua ultima fatica il regista torna ad affrontare i temi di  About Elly e Una separazione. Per l’argomento trattato e per l’attenzione con la quale egli si sofferma sulle sofferenze dei piccoli di fronte agli sconquassi delle famiglie, questo film sembra riprendere e sviluppare il finale di Una separazione, mentre il suicidio della moglie di Samir ci riporta idealmente ad About Elly e all’indagine condotta sui fatti della vita che non hanno cause plausibili, né spiegazioni  chiare: il cuore umano, così insondabile, rivela l’inutilità del cercare una causa (o più di una), soprattutto quando si vorrebbe trovare una colpa che è, in fondo, ciò che fanno i diversi attori del dramma. 

 

L’Iran dei due precedenti film è lontano, però: là era l’assurdità di arcaiche leggi religiose, tenacemente salvaguardate dal potere politico, a rendere impossibile la composizione dei conflitti.
Qui, invece, tutti sembrano spinti dall’esigenza di rendere chiare e trasparenti le ragioni del proprio agire: ognuno si attribuisce colpe forse inesistenti o ne attribuisce agli altri, ciò che dà luogo a spossanti discussioni che si avvitano su se stesse, senza altro risultato, che il rischio di disgregare ulteriormente la nuova famiglia che Marie aveva cercato di mettere insieme. Davvero molto meglio, allora, abbandonare il passato e affidarsi alle incognite del futuro?

Le ultime scene, per altro bellissime, del film, ci dicono che questo non sempre è possibile.

 

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