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Quel pomeriggio di un giorno da cani

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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La recensione su Quel pomeriggio di un giorno da cani

di Baliverna
6 stelle

Lo ritengo molto ben girato e recitato, ma mi sono sentito disturbato da alcuni aspetti della sceneggiatura. Uno è il tema dell'ambiguità, che anzi mi pare essere la vera cifra del film. Tutto in esso, infatti, è ambiguo. Il protagonista è da una parte umano e rispettoso delle persone (come si vede con gli ostaggi), dall'altra rapina però la banca, sequestra la gente, ricatta e minaccia quando l'unica mossa ragionevole sarebbe arrendersi. Ha una vena non trascurabile di pazzia e instabilità emozionale, come pure è sposato con una donna, ma anche con un transessuale; dice di amare entrambi e li mette esattamente sullo stesso piano come fosse la cosa più naturale... Diventa il vero eroe della vicenda, anche grazie alla televisione. Il capannello di curiosi fuori dalla banca finisce anche questo per parteggiare per i rapinatori, benché quasi li linci quando escono infine con gli ostaggi. Forse è lo stesso Lumet a fare il tifo per loro, tanto che la polizia ci fa proprio una magra figura. Non è sciocca la frase del direttore della banca: "devo capire che razza di gente siete" (io non l'ho capito). Gli ostaggi stessi sono ambigui, e Lumet, per farne vedere la stupidità e meschinità umana, li fa comportare in modo poco realistico. Innestato nel tema dell'ambiguità, si trova quello religioso, piuttosto pasticciato e confuso devo dire. Sembra poi di intravvedere l'intenzione di istituire un parallelo o una connessione tra pazzia, fede, morale, violenza, ipocrisia. La fede sarebbe quanto mai assurda: Pacino ritiene che la morale cattolica non vieti di rapinare una banca, ma ingiunga solo di non far male a nessuno (con quel fucile impugnato però...) e si sente con la coscienza a posto. Il suo compare (proprio un tipo strano, come si dice) impone agli ostaggi moralisticamente di rispettare il corpo in quanto tempio del Signore, poi però precisa che per lui uccidere è del tutto indifferente e che lo farà al minimo pretesto. Le famiglie cattoliche appaiono come dei crogioli di frustrazioni, deviazioni, mammismo, pazzia latente, incesto (vedasi la scena con la madre)... La donna liberata all'aeroporto piange in modo eccessivo, al posto di allontanarsi alla svelta, si commuove per lui, solo perché ha paura di andare in aereo, e per questo gli dona un rosario... Insomma, siamo tra l'assurdo e il patetico. Infine si nomina il prete dissidente, poi ridotto allo stato laicale, che ha sposato i due uomini. Non si capisce se viene visto come un eroe o come uno sbandato.
Che alcuni elementi appartengano alla vicenda reale (come l'omosessualità del rapinatore) è vero, ma mi pare che nelle intenzioni del regista vi sia un vero discorso strutturato sull'ambiguità, cioè che voglia sostenere come la realtà e l'essere umano siano ambigui, che il male si confonda con il bene, che anzi siano intrecciati, e discorsi simili. Questo genere di tesi, oltre che non condividerle, mi sono sempre riuscite sgradevoli. Infatti sgradevole è anche la sensazione che mi ha lasciato dentro il film.
In poche parole: Lumet dà prova di essere un grande regista, perché il film è solido e compatto, specie considerato lo spazio limitatissimo dell'azione. Non capisco però il tirare per i capelli la tesi dell'ambiguità di tutto e tutti, e non gradisco l'acredine anti-cattolica.

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