Espandi menu
cerca
Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda

Regia di Mariano Laurenti vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Raffaele92

Raffaele92

Iscritto dal 10 ottobre 2013 Vai al suo profilo
  • Seguaci 10
  • Post -
  • Recensioni 371
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda

di Raffaele92
6 stelle

Meglio essere chiari ed espliciti fin da subito: “Quel gran pezzo dell’Ubalda” è “La corazzata Potemkin” del cinema trash. A dire il vero, a dispetto della suddetta dicotomia, si fa “forte” di un plot che – al confronto delle soldatesse, insegnanti e infermiere che verranno – potrebbe quasi definirsi strutturato.

Più che un’accozzaglia di barzellette, si presenta come una barzelletta lunga un film.

In fin dei conti, si tratta innegabilmente di una rivisitazione (seguirà un fin troppo prolifico ciclo – comunemente detto “decamerotico” – di commediacce erotiche ad ambientazione medievale), dove lo spazio è però interamente dedicato alla performance forzatamente squallida (e, per questo, a tratti irresistibile) di Pippo Franco, intervallata dalla gradita quanto spudorata messa in mostra delle grazie della Fenech. Questi i due elementi portanti della pellicola (anche se, detto francamente, penso di poter affermare che la totalità degli spettatori giudichi il film in virtù della seconda caratteristica piuttosto che della prima).

Diretto dallo Scorsese dei cosiddetti “cul movie” (Mariano Laurenti ci avrebbe poi regalato perle imprescindibili quali “La liceale nella classe dei ripetenti”, “La ripetente fa l’occhietto al preside” e “L’onorevole con l’amante sotto il letto”), “Quel gran pezzo dell’Ubalda” non solo è il capostipite insuperato di un filone, ma ha anche il merito di aver lanciato la moda dei titoli pecorecci in rima. Seguiranno infatti “La bella Antonia, prima Monica poi Dimonia”, “Alle dame del castello piace fare solo quello” (quest’ultimo è in realtà un film tedesco datato 1969, ma distribuito in Italia solo nel 1973 col suddetto titolo), “Novelle licenziose di vergini vogliose”, e via dicendo.

Sboccato, coraggiosamente osé per l’epoca, cialtronissimo, ignorante, eppure – al contrario di molta comicità italiana odierna – capace di non risultare mai fastidiosamente ed esplicitamente volgare.

Ci sono tutte le caratteristiche dello scult che conta: trionfi di doppi sensi, intrecci di corna, comicità bassa che alterna la gestualità al dialetto romanesco, travestimenti assurdi.

Ma la crème de la crème è quell’indimenticabile sequenza dove la Fenech corre nuda (cintura di castità a parte, perché siamo pur sempre nel 1972) al ralenti inseguita da Pippo Franco, facendo così sobbalzare ripetutamente le proprie forme in quei due (troppo) brevi minuti che entrano di diritto nella Storia del genere.

Come non menzionare poi lo spassosissimo personaggio del prete, nonché la sequenza finale dove tre cetrioli (sì, il film è anche e soprattutto un’accozzaglia di allusioni sessuali) finiscono “vittime” di altrettante fatali cinture di castità adibite a trappola?

Mentre critica e pubblico lo hanno per anni etichettato come la contrapposizione assoluta al cinema che conta, quest’opera divertentissima e (nel suo piccolo) seminale, fregando tutti, ha finito invece col segnare a suo modo un’epoca.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati