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La notte del giudizio

Regia di James DeMonaco vedi scheda film

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La recensione su La notte del giudizio

di scapigliato
8 stelle

Film interessante a livello intenzionale, politico e sociale, provocatorio e inquietante, e riuscitissimo anche sotto il profilo formale grazie ad una regia asciutta e plastica che sa bene come costruire il thrilling e come dosare la suspence. I primi venticique minuti sono elettrizzanti. Percepiamo la minaccia di una mostruosità che sta per scatenarsi, ma non sappiamo ancora cosa e come. Prima mezzora da brividi.

DeMonaco firma una pellicola lineare nel suo sviluppo, ma complicata e articolata nei sottotesti che, in bassocontinuo, attraversano i vari livelli del sistema dei personaggi. The Purge, la purga, è la drammatizzazione dell’abuso/sopruso borghese a cui assistiamo tutti i giorni in toni più pacati e sterilizzati. Il genocidio silenzioso, soprattutto culturale e sociale, poi anche fisico, che dalla prima divisione in classi sociali ad oggi s’è perpetuato senza sosta, colpendo i ceti più poveri e indifesi, viene qui messo in scena attraverso la rappresentazione di un gioco di ruoli vecchio come il mondo, ma proprio per questo è primitivo e attuale allo stesso tempo. Ancestrale, cosmico, universale e purtroppo immortale. Cane mangia cane. Homo homini lupus, ricorda Bartolini.

La struttura è semplice. In un’America che legalizza il delitto e il massacro per dodici ore all’anno – e come non vedere in questo il calcolato e scientifico sterminio delle classi più povere – le famiglie ricche e agiate si trinceano nelle nuove panic house – le room ormai sono obsolete – e chiudono fuori il male del mondo e della società in perfetto stile espiatorio americano. Al sicuro nei loro “fortini” rivendicano il diritto di difendersi ad ogni costo e di tracciare un legittimo confine di classe e di razza con gli altri cittadini, colpevoli solo di essere a loro inferiori. Al sicuro tra le mura domestiche, come nel più classico dei temi propagadistici a stelle e strisce, la famiglia WASP perpetua l’assurdo credo dell’unzione del signore.

Questo fino a quando, nella linearità dell’incipit irrompe l’inconsueto. Dapprima il ragazzo della figlia maggiore che coglie l’occasione della purga per uccidere il padre della fidanzatina e poterla amare senza problemi. Quasi contemporaneamente arriva la seconda intrusione: un uomo nero, palesemente poco agiato e soprattutto ferito, muove la sensibilità del figlio più piccolo che disinstalla il sistema di sicurezza e lo fa entrare. Questo accumulo di svolte narrative aiutano a capitolare l’azione in una vertigine di adrenalina e di panico sapientemente accresciuti durante i precedenti venticinque minuti della pellicola.

Quando si scatena la sparatoria e si varca la soglia del punto di non ritorno, sia narrativo che contenutistico, veniamo catapultati nel cuore dell’azione. Il raffinato thriller ansiogeno finisce e si passa allo sparatutto, l’action armato in stile giustiziere della notte, tutto però circoscritto al perimetro domestico con nessi e connessi – corto circuito dei ruoli e dei legami famigliari, il labirinto dei corridoi e gli spazi chiusi. L’azione però riceve una nuova svolta narrativa con la terza intrusione, la più importante a mio personalissimo parere: quella dei bravi e belli ragazzi di buona famiglia, ipercurati nell’estetica e nel vestiario, freschi collegiali appena usciti dal campus dove studiano legge ed economia per fregare i più poveri, oppure belle bionde barbie americane appena uscite dalla piscina di casa o dall’idromassaggio, ancora vestite del solo accappatoio bianco-chic e pronte per la mattanza.

Come in un baccanale, ecco che i giovani, adolescenti oltre biologia, escono di casa ad uccidere e a uccidersi tra di loro, disprezzando la vita umana propria e degli altri in nome di un arrogante diritto divino di potere su ogni forma di vita. L’inquietante Rhys Wakefield sembra il Joker strappato dalla fantasia dei fumetti e scaraventato nella dura e cruda realtà, dipingendo con il suo ghigno veidtiano il perturbante nascosto dietro il bello, bravo, gentile e ricco giovane americano modello che ti vive accanto.

La quarta intrusione segna il twist finale. In casa irrompono anche i vicini. Eleganti, ricchi, agiati, cordiali e gentili come il modello americano ha voluto fin dall’inizio dell’industria cinematografica, primo passo per la colonizzazione culturale del mondo intero. Assistiamo così all’iperbole della mattanza, poco splatter, un tantino gore, ma sicuramente incisiva nella sua resa realista.

Il finale poteva forse essere diverso. Nel momento in cui i vicini salvano la famiglia protagonista si aprono vari scenari facilmente prevedibili, ma che sono poi gli unici possibili. I vicini, bruciando i ritmi della narrazione canonica, uccidono la famiglia che tanto odiano per potersi purificare dal male che hanno dentro e perpetuare così il sacrificio di sangue che tiene in piedi il Grande Paese – e dopotutto non sarebbe la prima volta che il cinema ci racconta che le fondamenta dell’America sono intrise di sangue. Oppure, i vicini vengono a loro volta uccisi dalla famiglia e dall’ospite ferito nel tentativo di difendersi dalla loro sete di sangue. Il terzo finale invece, è quello che viene scelto dal regista. Meno cinematografico per impatto visivo e narrativo, ma ugualmente efficace. In qualunque modo si fosse conclusa la vicenda, il messaggio politico sotteso sarebbe stato sempre lo stesso:  il mito della ricchezza benedetta da dio nasce e muore nel sangue. Il sangue dei poveri. E chi ha studiato un minimo di storia nordamericana, magari leggendo Zinn (1980), sa che voglio dire.

Interessanti alcuni dettagli che chiudono il cerchio dei simboli di cui si serve DeMonaco per mettere in scena l’estasi violenta delle classi bene: la figlia maggiore veste per tutto l’arco del film la divisa erotica della sua scuola privata, riprendendo un certo immaginario tipico dei film horror; il figlio minore utilizza una telecamera mobile telecomandata, a forma di bambolotto, giocando così il tema del voyeurismo violento, amplificato dagli schermi della sicurezza che riproducono in tempo reale ciò che succede fuori dalla casa e in strada; il vicino di casa che affila una grossa mannaia con la stessa naturalezza con cui decenni prima si annaffiavano i fiori o si tagliava il prato, già allora esercizi di benessere sociale. Insomma l’evoluzione della specie Homo Americanus.

Il film poteva essere più perverso e osare molto di più sul finale. Resta un thriller dal taglio slasher molto interessante che, come tutti gli instant cult, si fa apprezzare per come veicola efficacemente il proprio messaggio attraverso la forma e il ritmo adeguati. Allo stesso modo, i capitoli 2 e 3, sempre diretti da DeMonaco, pur cambiando la traiettoria narrativa, non più l’assedio, ma il viaggio, e pur cambiando lo scenario simbolico, non più la casa, ma la città, il “Paese”, brillano per inventiva, ritmo, iconografia, linguaggio e ovviamente anche per il contenuto che si fa più didascalico, ma sempre urgente. Rifacendosi ai capolavori di Carpenter e Hill, DeMonaco inventa un vero e proprio bestiario metropolitano, fatto di maschere, volti dipinti, uomini e donne pazzi e fanatici, fumettizzati nell’aspetto e drammaticizzati nel testo, che strutturano la trilogia di The Purge come un’unica opera politica, poco simbolica, distopica e orrorifica, non databile, matura e urgente nelle intenzioni politiche e sociali. Per il resto ha già detto tutto e bene Bartolini, come suo solito.

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