Regia di Henry Hathaway vedi scheda film
Notevolissima rappresentazione del dramma di un potenziale suicida in bilico sul cornicione del quindicesimo piano. Hathaway è bravo a rappresentarne la vita con pochi, veloci colpi di pennello, lasciando all'azione solo il background.
Nel 1951, anno di uscita di “14 Hours” (traduzione del titolo in italiano alquanto picaresca perché si prende la libertà di mettere l'accento su un momento specifico delle 14 ore del titolo), Henry Hathaway era già sull'onda da una quindicina d'anni, con titoli come l'ottimo “Il bacio della morte” nel suo carniere. Qui mette in scena con grande efficacia e ottime scelte dei tempi il dramma di un uomo in bilico sul cornicione del quindicesimo piano di un edificio di New York. La vita del giovane aspirante suicida passa davanti agli occhi dello spettatore in maniera stringata ma comunque esauriente (e mai posticcia) e occupa il posto centrale del film, lasciando l'azione nel background. Eccellente l'idea di riprendere la scena anche da alcuni uffici vicini dove la vita continua come se niente stesse accadendo. Pittoresca e carica di significati la primissima scena, con una New York volutamente deserta da contrapporre a quella letteralmente infestata di guardoni morbosi che non vogliono perdersi il suicidio in diretta. Particina per Grace Kelly al suo esordio sul grande schermo.
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