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Frozen - Il regno di ghiaccio

Regia di Chris Buck, Jennifer Lee (II) vedi scheda film

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La recensione su Frozen - Il regno di ghiaccio

di OGM
8 stelle

La Disney continua a produrre favole fuori dal tempo. Racconti di mondi incantati, in cui sono leggiadramente sovvertite le leggi della fisica, mentre quelle dei sentimenti restano potentemente in vigore, scolpite nel marmo delle illusioni intramontabili. Il tocco della mano di una principessa può, istantaneamente, gelare l’universo. Ma la forza del vero amore compie il prodigio opposto, sciogliendo il ghiaccio e riportando il calore dell’estate. Ancora una volta, la magia si sostituisce alla realtà per spiegarne i principi morali ed affettivi, ricordandoci che quello che abitualmente chiamiamo destino è il frutto della lotta tra il bene e il male, tra l’avidità dei malvagi e la generosità dei semplici. La descrizione del corso delle cose è affidata ai teneri stereotipi che popolano i sogni infantili, dai mostri alle fate, giocando mirabilmente con i contrasti e le iperboli: sono le meravigliose deformazioni che sgomberano la mente dalla schiavitù dell’evidenza e preparano il terreno alla libertà della fantasia. In questo gioiello dalle tinte blu, lo spettacolo inizia con l’immaginazione che si fa tempesta, che stupisce e procura gioia, ma può anche fare molto male. È solo la premessa di un’avventura in cui le travagliate emozioni umane si riflettono nella furia degli elementi, secondo un romanticismo che, sullo sfondo di uno splendido paesaggio invernale, sa trasformare la cupezza in un altero sfoggio di eleganza, e la dolcezza in  uno sbuffo di graziosa ingenuità. Cristalli di ghiaccio acuminati e vaporosi cumuli di neve sono chiamati a rappresentare la guerra e la pace, l’egoismo e l’altruismo, la durezza e la morbidezza dell’animo.  Elsa ed Anna, le due principesse orfane, rimaste sole a governare il regno di Arendelle, vivono la storia in parte da vittime, in parte da protagoniste, vincendo, nel lieto fine, con la proverbiale, limpidissima determinazione dei deboli. Intanto, tutto intorno, l’universo si affanna a creare ambiguità ed ostacoli, sofferenza ed ostilità. Solo loro due rimangono perennemente vere, sincere ed aperte nel mostrarci la loro natura, innamorata dell’utopia o assediata dalla paura, ma sempre aristocraticamente orgogliosa della propria autenticità. Elsa ed Anna hanno l’aspetto tondeggiante e levigato di due bamboline di plastica, con grandi occhi scintillanti come gemme, incastonati su un visetto da Barbie. Eppure sono profondamente vive, nella rabbia come nella passione, eroine di razza di un’epica femminile che sfida la brutalità maschile, intesa come violento cinismo o silvestre primitività. Le impennate coreografiche del film le vedono danzanti, ognuna a suo modo, in solitudine o in allegra compagnia, con nobile grazia o deliziosa goffaggine. La melodia è trascinante,  e ci convince che si può ancora e sempre cantare, quando ci si sente incompresi di fronte ad un mondo che è tanto grande e così difficile da cingere in un abbraccio.  

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