Regia di Orson Welles vedi scheda film
Questo film da un lato mi ha fatto venire a mente "Il posto delle fragole" di Bergman, dall'altro "Metropolis" di Fritz Lang.
Le inquadrature stranianti che mettono in risalto l'enormità degli oggetti rispetto alle persone (il castello, il camino gigantesco davanti a cui si trova Susan quando fa il puzzle), la giustapposizione quasi frenetica delle immagini che si dissolvono le une nelle altre, così come alcuni dialoghi le cui ultime parole sfumano alle orecchie dello spettatore, creano quella sensazione di caos che è propria del nostro inconscio. La vita di Kane nasconde una motivazione profonda al suo agire e il film è un tentativo di scoprire il vero nucleo dell'uomo. Quindi la personalità del protagonista si rifrange nel caos di voci e punti di vista di chi lo ha conosciuto e che possiede una scheggia di verità. Ma è nel passato (di qui Bergman) che si cela il trauma da abbandono che ha condotto Kane a volere ciò che non poteva ottenere per poi perderlo per sempre: la fama, il favore del popolo, l'amore di Susan. Chiaramente il linguaggio di Welles è distante dall'onirismo di Bergman ma l'onirismo è nelle intenzioni di scavare nell'inconscio di un personaggio così pubblico che il suo privato più privato sfugge e nessuno riesce a coglierlo. DI Metropolis invece restano le immagini concitate della vita urbana, i comizi e le scene collettive, la sensazione che il singolo svanisca rispetto alla città e agli edifici.
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