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Nebraska

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Nebraska

di laulilla
8 stelle

Riflessione sulla vecchiaia, sulla famiglia e sul senso della vita, nell'America profonda del Middle West. Un film bellissimo e toccante, senza essere un mélo.

Woody Grant  (Bruce Dern) vive nel Montana con la moglie. Ha un passato da alcolista e, ora che è vecchio, manifesta a tratti vuoti di memoria e un po’ di demenza.

Per questa ragione è una preoccupazione per la famiglia, ma  David (Will Forte) e Ross (Bob Odenkirk) – i due figli – hanno poco tempo per lui, ciascuno preso com’è dal proprio lavoro; la moglie Kate (June Squibb) – che cerca di badare a lui come meglio può – è a sua volta anziana e ha sulle spalle l’intero peso del ménage.
Nessuna meraviglia, perciò, se, pur sorvegliandolo (anche troppo) strettamente, spesso ne perda le tracce e sia costretta a ricorrere ai figli, obbligandoli ad abbandonare il lavoro per cercarlo.

 

Woody si allontana spesso, infatti: vuole raggiungere, a piedi o in autobus, la città di Lincoln in Nebraska e, non avendo più il permesso di guidare, per l’età e per i suoi precedenti da etilista, ha deciso che ci andrà a tutti i costi con le sue sole gambe malferme, anche se dista da casa sua un migliaio di miglia.

A Lincoln, infatti, lo attende, preparato… proprio per lui, un milione di dollari di cui un’azienda locale gli aveva comunicato la vincita, con una lettera truffaldina, copertura di una promozione pubblicitaria. Il figlio David, glielo aveva spiegato inutilmente più volte, finché aveva deciso di accontentarlo, dedicandogli l’intero weekend  – in realtà, qualche giorno in più – per accompagnarlo in Nebraska, ovvero a Lincoln.


Ross e Kate li avrebbero raggiunti a Hawthorne, luogo della giovinezza di Woody, delle antiche amicizie e del primo amore: quella sosta si dimostra utile al vecchio per ricuperare la memoria di sé; ai figli per conoscerlo meglio, e per far riemergere alcuni segreti di famiglia che erano stati accuratamente rinserrati, come le stanze della vecchia casa ormai piene di polvere e ragnatele. David e  Ross potranno conoscere anche alcuni momenti del passato materno, quando June – l’acida e spietata Santippe di oggi – era una spregiudicata e libera parrucchiera, di volgarotta esuberanza.

 

Il viaggio per Woody, dunque, stava diventando una sorta di recherche, per ricordare di essere stato vivo quando qualcuno lo aveva amato; per David era l’occasione per far luce in se stesso, per capire chi fosse, da dove venisse, chi e che cosa contasse per lui, nel suo presente difficile, nel momento della crisi economica che stava cambiando persino il cuore profondo degli stati del Mid-West americano, penetrando in quegli agglomerati di case, fra deserti e mandrie, in cui gli uomini stavano perdendo ogni desiderio di amicizia e di relazioni sociali e, avidi, poco dignitosamente si accontentavano di vivere in una condizione di ebete dipendenza televisiva. 

 

 

 

Alexander Payne sembra essere tornato, con questo bellissimo film on the road, alla felice stagione dei suoi precedenti About Schmidt (2002) e Sideways (2004) dai quali si era allontanato col deludente Paradiso amaro.


Mantenendo la propria narrazione in un difficile equilibrio fra dramma e commedia, il regista, con grande finezza, evita l’eccesso di patetismo che la vecchiaia di Woody avrebbe potuto evocare e al tempo stesso evita di metterne in ridicolo le piccole stramberie, rispettando il vecchio che insegue il miraggio della vincita prodigiosa soprattutto per lasciare ai propri figli un piccolo patrimonio, ricordo tangibile dell’affetto che per loro aveva provato ma che non era stato capace di manifestare.

L’immagine insieme tenera e cocciuta del vecchio Woody è resa con grande partecipazione da un eccelso Bruce Dern, che per questa sua performance ha ricevuto la Palma come miglior attore al festival di Cannes nel maggio 2013

 

La pellicola è girata in un bellissimo bianco e nero, con viraggi improvvisi verso il seppia o verso il ceruleo, quasi a sottolineare simbolicamente un paesaggio che accompagna, con le sue luci e le sue ombre, un’esistenza che, arrivata al termine, è ancora capace  di qualche luminoso sprazzo di vitalità, di qualche guizzo di intelligenza e di buon umore.



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