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Nebraska

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Nebraska

di FilmTv Rivista
8 stelle

«Oh, come ti odieranno», biascicò un John Wayne ubriaco di Wild Turkey all’alba della mattina in cui Bruce Dern gli avrebbe sparato alle spalle sul set di I cowboys di Mark Rydell. E ancora oggi Dern è l’uomo che ha ucciso John Wayne e pochi ricordano che lui è «la più grande star mai diventata una star», per dirla con Erik Hedegaard di “Rolling Stone”. Faccia associata indelebilmente agli anni 70, da Corman a John Frankenheimer - ha lavorato con Alfred Hitchcock, è amico di Jack Nicholson - Dern è restato ai margini. Dotato di una filmografia sterminata, lo ricordiamo ancora in qualche Hill (Wild Bill, Ancora vivo), di recente s’è fatto vedere in Twixt di Coppola e Django Unchained, Dern è la solitudine del maratoneta hollywoodiano. Questo per dire che l’attore non è mai andato via. Semplicemente, alla stregua di un Harry Dean Stanton, ha dovuto attendere il film giusto per farsi apprezzare anche da quanti lo ritenevano solo un volto nella tappezzeria dei caratteristi hollywoodiani. Nel ruolo di Woody Grant, un vecchio scontroso e amareggiato convinto di avere vinto un milione di dollari, Dern s’avventura in un’odissea provinciale fotografata in un magnifico bianco e nero opera dello straordinario Phedon Papamichael che evoca addirittura memorie del Paper Moon - Luna di carta di Peter Bogdanovich. Sospeso fra echi agrodolci di commedia all’italiana (si pensa a Comencini e Monicelli) e, inevitabile, Una storia vera di David Lynch, Nebraska si rivela essere il miglior lavoro di un cineasta sin qui discontinuo e, al peggio, fastidioso (Paradiso amaro). Dinoccolato e preciso come la camminata di Dern (l’unica risposta possibile a quelle proverbiali del nostro Servillo), il film coglie con grande attenzione ciò che resta di una provincia una volta saldamente operaia, oggi dimenticata dalla crisi finanziaria. In un ruolo che avrebbe potuto essere di Spencer Tracy, di Ben Johnson o di un Harry Carey Jr., Dern offre una lezione di “cinema americano” al suo meglio (assecondato dal geniale Bob “Better Call Saul!” Odenkirk e da Will Forte). Payne con Nebraska, opera essenziale e senza sbavature come una canzone di Howe Gelb, precisa nei tempi e attenta alla composizione dello spazio, trova una felicità espressiva che sin qui gli era sempre sfuggita.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 2 del 2014

Autore: Giona A. Nazzaro

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