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Nebraska

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Nebraska

di alan smithee
8 stelle

A quasi dieci anni dall' indimenticato ed irresistibile Sideways, torna al road movie il bravo regista Alexander Payne, spilungone simpatico ed elegante che, ospite al TFF 2011 col suo premiato Paradiso amaro, stupì molta parte del pubblico per simpatia, cordialità e per la sua non comune scioltezza a districarsi nell'intervista in un italiano disinvolto e quasi corrente. Un road movie dicevamo, essenziale, senza fronzoli, in chiaroscuro per riflettere meglio o in modo più  appropriato e dettagliato sin nelle profondità,  i cieli immensi della campagna americana che si tuffano senza esitare sui campi arati ondeggianti e sinuosi, punteggiati di pascoli e casette semplici, disadorne ma non certo tristi o desolate. O allo stesso modo per fronteggiare degnamente il volto scavato, sofferente ed incolto, ma sempre affascinante, di un attore cult che quasi commuove ritrovare finalmente di nuovo in primo piano come nei lontani anni '70, quando duettava e rivaleggiava con Elliott Gould, amoreggiando con Karen Black. Un Bruce Dern che in realta' non se n'era mai andato (lo ricordo di recente nell'ultimo teso e ottimo coppoliano Twixt), ma di certo da tempo aveva diradato le proprie partecipazioni a ruoli cameo o di contorno. Un Bruce Dern nei panni dell'ottantenne vecchio, malato e disilluso Woody Grant, solitario alcolista sposato con una moglie brontolona e pettegola che lo ama detestandolo, e due figli che lo compatiscono (il piu' giovane David) o evitano (il maggiore, giornalista di un network locale con aspirazioni di conduttore di notiziari). Una missiva infingarda che gli promette una vincita di un milione di dollari dietro un semplice abbonamento ad una rivista, spinge l'uomo anziano a tentare di mettersi in viaggio per il Nebraska, per raggiungere la città di Lincoln a ritirare la somma. E se a nulla valgono i tentativi di dissuasione da parte dei familiari, alcuni dei quali vorrebbero portarlo definitivamente in uno ospizio, alla fine il figlio più giovane decide di esaudire il folle desiderio del padre, intendendo regalargli due giorni di viaggio e di vana speranza e gloria. Un viaggio attraverso due stati confinanti, un saluto veloce, distratto e un po' scettico al monte Rushmore cin i suoi ingessati presidenti, e poi via lungo le terre dell'infanzia del vecchio, che lo riportano al borgo natio di Hawthorne,  dai parenti che non vedeva da decenni e che subito, appreso della ipotetica vincita, cominciano ad asserragliarsi, assieme a molti ex compagni del passato improvvisamente di nuovo tutti amici ed affettuosi, accanto al vecchio nel tentativo di spillargli una parte del presunto bottino. Siamo nell'America rurale povera e disoccupata, quella delle cittadine deserte popolate da vecchi che campano di sussidi e si annoiano apatici davanti alla tv, o di giovani ingrassati che compiono lsvori socialmente utili come  sconto di una condanna; la periferia delle villettine a schiera che nascondono enormi silos o cisterne o ancora fumaioli di fabbriche nel tentativo di nascondere le brutture di una vita che nessuno di loro riesce od è riuscito mai a godere sino in fondo. È sempre lontano il "paradiso amaro" delle verità e delle illusioni, lontano ma anche vicino quando ci si accorge che la vita è tutta un inganno e una illusione senza speranza. A meno che la speranza non si risolva in un atto d'amore di un figlio che non si limita a dedicare metà settimana ad un genitore burbero e distratto che non ha mai potuto conoscere veramente a fondo, ma a procurare al povero padre ingenuo e disilluso quei due ultimi sfizi (un furgoncino nuovo...o quasi, e un compressore nuovo dopo che un'amico gli ha sottratto il suo) che una persona anziana e compromessa ha tutto il diritto di pretendere e trattenere con se'. Payne trova ancora una volta come gia' in Sideways la via piu pertinente e solida, anche commovente e sarcastica  per affrontare il viaggio, un percorso di crescita, di maturazione, anche tardiva, alla riscoperta delle proprie origini, della propria genealogia, della vecchia casa dei padri che non puo' lasciare indifferenti. Dern e' un vecchio cocciuto e testardo che cammina a passo incerto, quasi dinoccolato, ma non arrendevole verso una meta che non puo essere trascurata, e che ricorda non poco, ma con rispetto, il determinato e sensibile Richard Farnsworth del capolavoro lynchano "Una storia vera".

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