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Quando la moglie è in vacanza

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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La recensione su Quando la moglie è in vacanza

di Decks
9 stelle

Non a caso, Billy Wilder è conosciuto come il re della commedia americana; titolo pienamente meritato, visti i contributi che ha dato al genere con veri e propri capolavori. Dopo aver diretto Audrey Hepburn in "Sabrina", passa ad un'altra icona femminile degli anni '50, che proprio in questo ruolo diventerà la diva di Hollywood che tutti noi conosciamo, prima della sua forte depressione e del suo periodo buio. Ovviamente è Marilyn Monroe.

 

Non a caso, ciò che rimane più impresso alla mente dello spettatore, non è tanto la direzione professionale di Wilder, quanto la meravigliosa interpretazione della Monroe: in questa pellicola racchiude tutti gli emblemi e la personalità dello squisito personaggio che la bionda attrice ha portato sugli schermi; quella ragazza svampita, che alle prime apparenze può risultare una giovinetta frivola, ma che sotto sotto nasconde una filosofia di vita semplice, mai banale, volta al sorprendersi per le piccole cose: quali siano un puro sentimento d'amore o una canzonetta di un pianoforte.

Lasciando perdere le generalità e focalizzandosi sulla pellicola in questione, mai la Monroe sarà così capace di infondere nello spettatore quel senso allusivo e sensuale, esclusivamente attraverso movimenti naturali che faranno girare la testa a più di un uomo: quali l'alzare il vestito per un po' di frescura o lo scendere semplicemente le scale; davvero perfetta persino nell'espressività stupita o nei suoi sorrisi velati, che meglio incarnano la sua innocenza ai limiti dell'ingenuità.

Non è da dimenticare però un fenomenale Tom Ewell, vero protagonista della scena: complice anche il fatto che l'attore ha interpretato lo stesso ruolo nella versione teatrale, Ewell coglie appieno il ruolo a lui richiesto: quello del borghese di mezz'età; abitudinario e con un certo prurito per le giovani ragazze; inarrivabile la sua maestria nel muoversi agilmente tra la scenografia in preda ad attacchi di panico o ricerca spasmodica di sigarette, a cui si aggiunge una verve tipicamente teatrale.

 

Se c'è qualcosa che però ha reso unico il lungometraggio, sono le sceneggiature scritte a quattro mani da Wilder e George Axelrod. Un vero successo su tutti i fronti: riescono a far ridere più di una volta con battute ricercate e sottili, sommate a quelle recanti degli accurati doppi sensi: quest'ultime non finiscono mai per risultare grezze o invadenti, tutt'altro: il gioco è ben gestito ed eseguito.

Oltre a questo, viene aggiunta la critica del matrimonio borghese inteso come convenzione sociale: Sherman è il tipico impiegato statunitense consuetudinario; legato, o sarebbe meglio dire incatenato, dal vincolo matrimoniale; e così, malgrado la sua grande fantasia, organizza meticolosamente tutta la sua giornata, scandalizzandosi persino per una chiamata telefonica che ritarda. Ecco che però, basta una bionda Circe, una provocante ochetta, a demolire la debole struttura matrimoniale, trasformando il giovane Sherman da cane legale in un lupo dagli ormoni impazziti.

Wilder mette a confronto due mondi diversi: quello giovane e ingenuo contro quello adulto e ordinario. Il risultato non è così scontato, visto che sarà proprio la Monroe ad uscirne vincitrice: una ragazza genuina, onesta, per nulla imbrigliata in quella società che si mostra ipocritamente ordinaria e perfetta, quando invece nasconde più di un vizio e di una depravazione; lei sceglie di vivere spensieratamente, dimostrando di essere meno sciocca di quanto si pensi con un ultimo dialogo sincero e saggio su cosa voglia veramente una ragazza.

 

L'ottimo prodotto di Wilder conquista dall'inizio alla fine, se però si vuole essere minuziosi, il regista statunitense non riesce a staccarsi completamente da quella commedia teatrale per alcuni particolari: primo su tutti la regia. Wilder è un maestro della cinepresa, ma qui, costretto ad allestire set tipicamente teatrali tranne qualche eccezione, si ritrova anche lui imprigionato in queste quattro mura domestiche, incapace di muovere al meglio la sua macchina da presa, rimanendo dunque distante e spesso statico, poggiandosi esclusivamente sulle doti dei due attori principali.

Per l'appunto, ne esce una pellicola che rende grazie più al teatro che al cinema, malgrado Wilder sia riuscito, tramite la fervida immaginazione del protagonista, a creare scenette divertentissime e ad allungare l'opera: resta comunque godibile, ma il retrogusto di palcoscenico è comunque forte.

 

Un classico intramontabile della commedia made in USA: leggera e incantevole proprio come la ragazza senza nome del lungometraggio, che forse è Marilyn Monroe (come dirà Sherman), vera punta di diamante della pellicola nella sua migliore interpretazione, ma non il suo miglior film (quello è un posto che spetta a qualcosa di più "caldo").

Un cult che legherà indissolubilmente all'immaginario collettivo la dolce Marilyn insieme al suo vestito bianco e ad un impudente soffio d'aria.

 

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