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Dallas Buyers Club

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su Dallas Buyers Club

di amandagriss
8 stelle

Nel corpo sciupato, quasi scheletrico, nel volto scavato e spigoloso, negli occhi infossati -due fari abbaglianti su quella pelle asfittica, sottile e fragilissima-, si legge la furia amara, laconica, devastante, composta, di chi è consapevole di aver perso. Nel gioco (d’azzardo) della vita. Che, in molti, specifici casi, non concede una seconda chance, quella possibilità di rimontare, riparare al danno, all’errore, aggiustare tutto, mettersi in pari, continuare a giocare. E si resta lì, isolati, perché intanto si è creato un vuoto intorno che schiaccia e toglie il respiro, immersi in un silenzio assordante, seduti sul divano di casa e uno specchio o un vetro a riflettere l’immagine deformata, irriconoscibile, di ciò che si era una volta. Coloro che hanno contratto il virus dell’hiv, i sieropositivi, i malati di aids, sono morti che camminano. Da tori da rodeo a concime per i campi, da persone ad appestati, da esseri umani a carcasse putrescenti. Che ancora respirano. L’hiv è ‘l’angelo sterminatore’ di tutti gli sbandati sballati di questa terra. La ‘giusta punizione’ per chi ha condotto un’esistenza votata all’edonismo sfrenato, al peccato della carne, abbandonata al vizio depravato. La morte adesso è parte di loro. È l’ombra che mai li abbandona. È la polmonite cronica, la pelle che casca, i crampi alle gambe; è la demenza, le continue vertigini, il sudore freddo, la perdita dei sensi.                                                 Nel corpo sciupato, quasi scheletrico, nel volto scavato e spigoloso, negli occhi infossati cerchiati di nero, si legge l’ostinata cocciuta disperazione di chi non ha più nulla da perdere; l’ottusa determinazione di chi ha dato fondo a tutto quello che ancora possiede per ingaggiare una guerra spietata, senza esclusione di colpi e che non conosce tregua, contro il tempo, contro il pregiudizio dilagante, contro l’ignoranza circostante ma soprattutto contro chi detiene il potere di vita e di morte sugli esseri umani. Non Dio, ma il suo rappresentante (uno dei tanti) in terra: le multinazionali farmaceutiche e il loro pesante discutibilissimo ruolo nella questione AIDS a metà degli anni ’80, quando iniziarono a crescere a livello esponenziale i decessi per hiv contratto, tanto da gridare ad una nuova pandemia, le cui vie di contagio ancora sconosciute esigevano mascherine sul volto, estrema prudenza a stringere la mano, massima attenzione a non farsi sputare addosso. Una tragica guerra che coinvolge in prima persona la categoria dei medici, altro che preziose anime scelte in missione per conto di Dio, solo interessati ambiziosi e oziosi burocrati sepolti dentro il ‘sacro’ candore autorevole del camice bianco.
- Arroganza, cecità, avidità intese come valori aggiunti e non difetti/tare umanamente, moralmente penalizzanti. Avere la vita della gente in pugno e disporne come meglio conviene -   
Ma che senso ha combattere una guerra di cui già in partenza si conoscono gli sconfitti? Che differenza c’è tra 30 giorni di vita o 2557 quando la sentenza di morte è irrevocabile?
Questo film ci dice che una differenza c’è. Ed è enorme. Perché la morte può essere l’occasione per aprirsi alla vita come fino ad allora non si era fatto, ‘sperimentare’ la solidarietà, l’amicizia con chi non si sarebbe mai immaginato, la convivenza fisica e la comunione emotiva col ‘peggior nemico’, colui che, anche se per altre vie, finisce col ritrovarsi sulla medesima barca traghettata verso l’inferno.
Perché è necessario conservare fino all’ultimo la dignità che una così terribile malattia, come del resto tutte le malattie, strappa via a morsi.
Per tornare a sentirsi esseri umani e non più ributtanti mostri additati, temuti e scacciati.
 
  
 

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