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The Zero Theorem

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su The Zero Theorem

di kubritch
5 stelle

Commedia fantascientifica surreale ambientata in un futuro distopico e decadente.

Qohen Leth detesta la società in cui vive. Prima di diventare un misantropo le ha provate tutte, come la maggior parte delle persone, ma nulla è riuscito a restituirgli un senso per cui vivere. Da qualche tempo, non desidera altro che rintanarsi in casa, una fatiscente chiesa sconsacrata con tanto di fonte battesimale adibito a lavabo, principalmente, per non rischiare di perdere la chiamata capitale da parte del grande cervellone informatico che gestisce le vite di tutti i cittadini. Solo in questo modo potrà conoscere la ragione della sua esistenza. Si tratta degli ultimi sprazzi di un atteggiamento fideistico e, quindi, l'abitazione assume un significato simbolico. Il suo disagio è anche il nostro, nel momento in cui lasciando il silenzio e la penombra del suo rifugio, l'uomo viene travolto dalla luce abbagliante del mattino e dal caos di rumori e colori della città. I costumi dei passanti sono chiaramente ispirati ad Arancia Meccanica, anch'esso ambientato a Londra. L'altro rimando all'iconografia di Kubrick lo troviamo nella soluzione drammaturgica del finale. Il sentimento di solitudine cosmica è quello.  Su tutto, sin dalle primissime immagini, incombe il buco nero in cui tutto sarà inghiottito. Informatica e denaro governano totalmente la società, commerciando falsi miti consolatori realizzati su misura. Per contro, i calcoli segreti della Grande Macchina, che danno il titolo al film, sebbene ancora incompleti, rivelano che tutto tornerà da dove è cominciato: la fine coincide con l'inizio. Ex inordinatio venit pecunia: dichiara il venerato boss della Mancom - nome stranamente assonante con manicomio. "Dal disordine proviene il denaro." Ignoro la fonte di questa massima inquietante ma presumo che sia diffusa presso la classe dominante. E' affine a "divide et impera". Il film si chiude nello stile di Terry Gilliam, con un invito a lasciarsi andare, anche se si nota in generale un approccio fantastico/onirico più trattenuto, forse, a causa di una fonte narrativa ben definita, e con note malinconiche più accentuate rispetto al passato, che probabilmente appartengono al regista stesso. Si nota che in origine c'è la mente di un matematico di genere maschile. La donna è rappresentata secondo lo stereotipo tradizionale: oggetto sessuale e predisposizione alle faccende domestiche. La sensazione è quella di un racconto che si ripiega su se stesso verso la seconda parte; che non si schiude. Lo sviluppo argomentativo che porta alla rivelazione, è al quanto semplicistico. Su tutto domina l'interpretazione e il volto di Waltz anche se con qualche discontinuità nella rappresentazione della nevrosi, prima estroflessa e, poi, introversa. 

 

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