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Noi non siamo come James Bond

Regia di Mario Balsamo vedi scheda film

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La recensione su Noi non siamo come James Bond

di nickoftime
8 stelle

Oramai ne siamo certi: in Italia esiste un nuovo tipo d'animale cinematografico, nato dalla necessità di superare i limiti imposti da una crisi che nel cinema deve fare i conti non solo con la mancanza di soldi, ma ancor più con il degrado culturale in cui versa il nostro paese. Se non fosse così non si spiegherebbe un fenomeno come quello registrato dal film di Mario Balsamo e Guido Gabrielli, " Noi non siamo come James Bond" premiato all'ultima edizione del Torino Film Festival con una menzione speciale, e nonostante questo costretto ad inventarsi una distribuzione a macchia di leopardo, non diversa da quella di altre pellicole, e sono molte - citeremo per brevità due casi emblematici come "Il mundial dimenticato"(2012) ed ultimamente "The Summit"(2013) - impegnate ad affermare la propria esistenza potendo contare solamente sulle proprie qualità e sul passaparola del pubblico. Un tipo di cinema condannato da un appeal commerciale extra circuito, in cui artigianalità e buone idee sono chiamate a supplire la mancanza di attori di richiamo ed un'adeguata campagna promozionale che per il film di Balsamo e Gabrielli è tanto più stridente se si pensa che Rai Cinema figura, seppur in compartecipazione, tra i distributori ufficiali del film.
 

Di certo, ed è un pregio, "Non non siamo come James Bond" appartiene alla categoria di quei film di difficile collocazione, perchè pur avendo le caratteristiche del documentario, con gli autori nella parte di se stessi, pronti a raccontarsi partendo dal paragone con il James Bond di Sean Connery, modello inarrivabile di un amicizia trentennale, riesce nell'impresa di imitare la finzione "mettendo in scena" quei ricordi alla maniera di un Buddy Movies involontario, con i protagonisti ripresi nel corso del viaggio che nelle intenzioni gli consentirà di conoscere il mitico interprete di 007. Una missione difficile ma non impossibile per due tipi sopravvissuti alla condanna di una malattia definitiva e per questo allenati a non scoraggiarsi di fronte a nulla. Ed è proprio il fatto di non essere riconducibile ad un modello precostituito, di nutrirsi di una diversità che riesce a disfarsi di qualsiasi artificio per sovrapporsi alla vita, ad aumentare il fascino di un'opera che a dispetto dell'apparente semplicità è invece il risultato di una scrittura filmica attenta al dettaglio: nella composizione dell'immagine, determinata da un cromatismo capace di restituire le variazioni emotive che si accavallano nel corso della storia, e resa poetica da un utilizzo dello spazio che privilegia l'umanità dei personaggi con una collocazione capace di trasformare i limiti fisici in un plus valore di armonia e dignità (a testimoniarlo basterebbero le sequenze girate in riva al mare); nello sviluppo narrativo, frammentario e caratterizzato da una narrazione a maglie larghe, in cui il motivo principale rappresentato dal cammino di avvicinamento verso l'oggetto del desiderio si confonde, fino a perdersi, con le testimonianze di un vissuto in cui la malattia, seppure centrale nell'economia della vicenda, diventa lo spunto per affermare il superamento di un disagio (quello di non essere, come James Bond, all'altezza di qualsiasi situazione) affermato nelle battute iniziali del film, e poi lasciato indietro dalla consapevolezza di aver vinto la sfida più difficile.

Mario Balsamo, documentarista navigato, e Guido Gabrielli prestato al cinema per motivi contingenti, procedono per gradi. Inizialmente concentrandosi sull'affermazione del titolo, con lo smoking indossato per entrare nella "parte", emulando la compita eleganza dell'agente segreto, passando per il rendez vous con Daniela Bianchi, bond girl di "Dalla Russia con amore" (1963) nel quale emergono evidenti le prime avvisaglie di una discrepanza tra cinema e realtà (uno dei temi del film), progressivamente separati mediante una serie di telefonate di Balsamo all'attore scozzese, concluse da un finale a sorpresa, con la voce di Sean Connery che declinando una proposta di lavoro mai formulata, ribalta le posizioni di partenza, consegnando ai nostri eroi il primato di una dignità completamente ritrovata. E poi gradualmente, spostandosi verso un altrove emozionale, con le testimonianze ed i ricordi affidati alle parole dei due protagonisti, chiamate ad evocare i momenti più difficili, con un pudore totalmente estraneo ai patetismi da reality, e quelli esilaranti, e c'è ne sono molti, frutto di una dialettica che si avvale in buona parte delle peculiarità fisiognomiche e della mimica sghemba dei due autori. Balsamo in questo caso non si affida ad immagini di repertorio (una vera eccezione in questo tipo di operazioni) ma fa confluire quei trascorsi in un eterno presente, dove la circolarità di un racconto che procede parallelamente a quello della gita sulla spiaggia su cui il film ritorna e si conclude, riesce a far convivere due piani temporali diversi: quello della rimembranza, forte di una rarefazione che diventa concreta nel segno fisico dei corpi provati dal morbo, e quello dell'attualità, riassunta nel tuffo dei due amici su cui il film si congeda, assumendo connotati di una catarsi simbolica e definitiva. Espressione di individualità profondamente marcate "Noi non siamo come James Bond" è capace di diventare paradigma di un percorso di liberazione esistenziale in cui gioie e dolori sono le tappe di una guarigione che si completa nell'accettazione di se stessi. Un messaggio universale che il film di Balsamo e Gabrielli riesce a far passare senza alcun intellettualismo e con una freschezza che ricorda il cinema degli albori. Cercatelo nelle vostre città ed andatelo a vedere. Non resterete delusi.
(pubblicato su ondacinema.it)

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