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La vita di Adele

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su La vita di Adele

di Barone Cefalu
8 stelle

La vita di Adele è uno specchio raro in cui osserviamo il nostro riflesso fatto di pregiudizi, morale altalenante, omofobia. Chiusi nelle nostre gabbie tendiamo a non vedere le sbarre, ma giudichiamo ciò che sta oltre, gelosi forse di una libertà dei sensi che ai nostri occhi può sembrare eccessiva, spregiudicata. E gridata.

 

Ed è un grido sordo il film di Abdellatif Kechiche, regista Turco naturalizzato Francese, opera “violenta” a suo modo nell’esibire tale libertà di scelte di vita con euforica sfacciataggine e apparente presunzione. O forse dovrei dire semplicemente umanità.

Osserviamo una ragazza scoprire la propria sessualità, sperimentare tra i sessi, far delle scelte lottando col suo intorno, con i propri compagni di scuola pronti a colpire al fianco se la scelta non dovesse essere quella della normalità accettata; è la regola del branco: dal branco non si sfugge, non si sfugge all’ignoranza che serve a proteggerlo. È il magma adolescenziale che definirà la nostra vita da adulti, e che spesso ci marchia per sempre.

 

Adele ha 15 anni (davvero convincente e naturale Adèle Exarchopoulos), frequenta il liceo, è una ragazza attraente, brillante in Francese, ama leggere, e la sua è una famiglia assolutamente normale, ma che denota un tipo di educazione conformista. Gli unici momenti in cui appaiono le famiglie nel film è attorno alla tavola: la famiglia di Adele mangia svogliatamente guardando la televisione. Tutto si riduce a “La pasta è buona, ancora un po’”.

Emma è invece la classica ragazza che viene giudicata con sospetto già al primo sguardo (bravissima Léa Seydoux, vera star del film) apparentemente mascolina nei gesti, capelli di un blu vivo, elettrico, carnagione pallida: una bandiera d’indipendenza e anticonformismo. Di ribellione.

 

Il regista ancora non sazio gioca anche con le identità ed i ruoli: Emma frequenta le Belle Arti, è una ragazza attenta ai dettagli, appassionata di pittura si scopre che fa parte di una famiglia totalmente aperta, viva ed interessata. A cena si parla di tutto senza preconcetti.  Ma Emma non è libertina come la sua figura esteriore potrebbe farci giudicare prematuramente. Anzi. Il suo modo di amare è sincero ed incondizionato verso Adele, figura al contrario destabilizzata dall’ambiente in cui cresce.

 

Il regista spazia tra echi da Nouvelle Vague, passando successivamente ad uno stile simil documentaristico fino alle scene di sesso, totalmente esplicite, quasi a voler volutamente imbarazzare lo spettatore che mai si aspetterebbe un linguaggio così evidente e dichiarato. Probabilmente Kechiche ha voluto di pari passo manifestare la propria libertà, far cadere ogni barriera del pudore mostrando la bellezza in tutta la sua pornografica evidenza, quasi a voler ribadire che c’era un tempo in cui mostrare graficamente l’unione di corpi non era un tabù, o esclusivamente un morboso oggetto di consumo.

In generale sono davvero efficaci e oserei dire virtuosistiche le riprese, in un continuo susseguirsi di primissimi piani e di dettagli, il regista si concentra su sguardi, accenni di sorrisi, labbra che incarnano il desiderio giovanile, senza scomporre la naturalezza degli attori. Totalmente invisibile la camera, sorprende scoprire tanta naturalezza e forza di carattere delle protagoniste, splendide, con un’aura di fame giovanile e di vita. Da vedere

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