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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Still Life

di NOODLES98
6 stelle

Still Life. Natura morta. Quella dei morti che John May cerca di traghettare in un'aldilà più felice, nonostante la loro spiccata solitudine in vita. Vita ferma, monotona. Quella dello stesso John May, così attaccato al suo lavoro, nel quale ci mette tutta la passione del mondo, circondato dai suoi morti. Ancora vita. Quella che vorrebbe ricomiciare il protagonista nel finale, ma che gli eventi avversi glielo impediranno, proprio all'ultimo. E' forse questo il punto debole di Still Life, opera seconda di Uberto Pasolini (che non c'entra niente con Pier Paolo, ma è imparantato con Visconti) che mette in scena una storia struggente, lenta, illuminata a tratti da un uomorismo nero e poco consolatorio e da una regia calma, semplice e per questo perfetta (infatti premiata a Cannes). Ma il problema sorge proprio nella genesi dell'idea. Pasolini si è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto, di un uomo solo che si è imbarcato in un'avventura strana e triste per portare lontani familiari al funerale di un certo Billy Stoke, morto in solitudine, per impedire che un'altra cerimonia si svolga nella totale mancanza di persone, come mostra la prima sequenza. Un particolare, però. La storia del vero John May si è conclusa con un lieto fine, fatto che manca completamente nel film di Pasolini. Le storie vere che approdano infine ad un finale felice, si sa, sono poche e, ormai, rare. Perché, allora, sopprimere ciò in favore di una conclusione priva di speranza, quando nell'ultima inquadratura si cerca di riaccenderla falsamente e quando si ha tra le mani una lieta storia vera? La risposta non ci viene data. 

La geometria calcolata al millimetro delle inquadrature di Pasolini è in contraddizione con la materia narrata (un po' come ha sempre fatto Wes Anderson), che è al contrario di forte impatto emotivo, ed è una scelta vincente per raccontare una storia monotona, ma emozionante, dura, ma anche dolce. Eddie Marsan, fenomenale caratterista (ce lo ricordiamo soprattutto per il bellissimo The World's End) ad una delle sue prime performance da completo protagonista, porta tutto il film sulle sue spalle senza fatica e riuscendo a rendere tutte le sfaccettature di un personaggio che sembra facile solo sulla superficie, ma che racchiude dentro di sé tutta la solitudine di una società che è già di per sè monotona e ferma, in una parola, STILL. Un personaggio con il quale ci immedesimiamo nonostante, sulla carta, sia lontanissimo da tutti noi. Ed è anche per questo che il duro finale non sta dentro al film. Il messaggio dovrebbe ribadire l'imprevedibilità della vita, ma ciò che passa è che John May appena comincia a godersela la vita, la perde, quando si innamora, non guarda il double decker bus che viene contro di lui, come cantavano gli Smiths. In più, questo famigerato finale diventa, con l'avanzare della trama, prevedibile e scontato, e ciò è un vero peccato per un film che poteva essere un gioiello di cinema indipendente, diretto da un italiano trapiantato a Londra. Grazie alla regia fredda e coinvolgente allo stesso tempo e alla grandiosa interpretazione di Marsan rimane una pellicola più che dignitosa, ma non basta per farla decollare, e che, man mano che ci si avvicina alla conclusione, si abbassa a risaputi trucchi per provocare pianto o compassione. Perciò, considerando che "gli ultimi venti minuti di un film sono i più importanti" non mi sento di promuovere a pieni voti un film che, sulla carta e  per almeno un ora e dieci, sarebbe potuto essere eccelso. 

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