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Star Trek Into Darkness

Regia di J.J. Abrams vedi scheda film

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La recensione su Star Trek Into Darkness

di M Valdemar
6 stelle

Khan che abbaia non (de)morde.

Uno strano effetto. Proprio quando i giochi sono ormai belli che chiusi, criogenizzati nella prospera conclusione (aperta), quella che è una (posticcia) autocelebrazione del mito startrekkiano condensato nel celeberrimo motto/mantra («Spazio, ultima frontiera …»), ecco, sembra quasi che da lì debba iniziare l’attesissima nuova avventura della Enterprise. 
«Diretta all’esplorazione di nuovi mondi …»
Ed invece.
Per l’iperprolifico J.J. Abrams, che tiene a bordo i fedeli ufficiali sceneggiatori/produttori Kurtzman, Orci e Lindelof, l’avventura non è nient’affatto nuova né esplorativa né “spaziale”. In sintesi: molto poco “nerd”. E tanto protetta dagli scudi potenti di vecchi solidi schematismi che trovano nell’action (im)puro una configurazione sempre efficace.
Ciò detto, Abrams sa sviluppare una storia, come si costruiscono i personaggi facendoli interagire tra loro e con il pubblico, sa certamente assicurare un ritmo indemoniato e portare a termine la missione. Passi tutti che nell’occasione riesce a fare in scioltezza e senza fiatone, probabilmente anche per una cresciuta consapevolezza dei propri mezzi e dello status raggiunto (cioè, affidargli la prosecuzione di Star Wars … in teoria una nauseabonda blasfemia, in pratica una scelta quasi “obbligata”).
Ebbene, posto che delle onanistiche imprese, riflessioni e bizzarrie linguistiche dal cervellotico fantasioso calibro tipiche della saga v’è poco - e quel poco è roba di riporto, più che altro un contentino per i fan -, autori e regista fanno gravitare l’oggetto filmico (identificato) in un campo di forza narrativa e attrattiva dalla matrice alquanto “terrestre”.
Intreccio dalla “semplice” complessità e comprensibilità (che invero contiene qualche forzatura di troppo), riferimenti al presente (gli attacchi terroristici) e immortali (la cospirazione), le “classiche” sorprese (il doppio cattivo), il crescendo dell’azione, i percorsi personali e le scelte anche dolorose dei personaggi (sacrifici e salvataggi impossibili si sprecano, e non manca neppure una resurrezione), effetti speciali roboanti e manifesti (irrilevante il 3d convertito), siparietti che (r)assicurano il lato comedy (dagli scontri tra mentalità opposte di Kirk e Spock, a quelli comici con protagonisti Scotty o il dr. McCoy, per finire con quelli sentimentali tra Uhura e Spock): armi tutte sintonizzate sul (moderato) stordimento.
Senza l’intenzione di colpire realmente lo spettatore, Abrams ha pertanto gioco facile nell’organizzare e condurre un viaggio comodo, in cui la meta è una visione cristallina dello stato delle cose. Virtù comunque da non disprezzare, anzi.
Ma laddove la pellicola spicca è senz’ombra di dubbio per la consistenza dell’antagonista principale, derivativo finché si vuole (basta il “vero” nome per capire) però notevole per riuscita e statura. Magari non si è andati troppo per il sottile cercando di costruire un profilo psicologico robusto, sta di fatto che John Harrison/Kahn, sorta di superumano incavolato con l’universo intero (non senza ragioni), rimane nella memoria.
Gran parte del merito risiede nella scelta del suo interprete, ovvero il sempre magnifico Benedict Cumberbatch, al cui cospetto non c’è (insipido) Pine o (statico) Quinto che regga: è un fuoriclasse in mezzo a tanti gregari (il solo e pur sprecato Pegg, per via della sua indole chiassosa, regge).
I suoi sono occhi di ghiaccio che incendiano lo spazio (tra le stelle e sullo schermo), tanto sembrano affamati e animati da remoti istinti e bisogni di ferocia, annientamento, conflitto, nonché di autoaffermazione della propria superiorità.
Discreto anche l’apporto di Peter Weller (il luciferino ammiraglio Marcus), mentre, sempre tra le nuove entrate, non incide granché Alice Eve (ufficiale scienziato che s’intrufola a bordo dell’Enterprise). Riguardo quest’ultima, si è fatto un gran parlare (a sproposito) della scena nella quale rimane in intimo, scena ritenuta “gratuita”: sì, lo è, ma dura lo spazio di una rapida inquadratura, suvvia.
Piuttosto, non sarebbe male poter sfruttare di più la straordinariamente sensuale Zöe Saldaña, una che sarebbe capace di sciogliere l’intera calotta polare (nella finzione però non riesce a scalfire quel ghiacciolo tutto d’un pezzo - di scemo - di Spock).
Mah … comunque, lunga vita e prosper(os)ità.

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