Regia di John Wells vedi scheda film
Il padre è scomparso, è uscito dalla casa affogata nel buio perenne ed è andato a morire annegato. La madre, una Meryl Streep immensa e spietata, infiamma il suo tumore alla bocca col fumo incessante. Le figlie tornano in Oklahoma col bagaglio dei fallimenti: Juliette Lewis, frivola e ferita, irrompe col nuovo fidanzato abbiente e ignorante (Dermot Mulroney, maschera grossolana asciugata del romanticismo brillante); Julia Roberts, coriacea ed epigrafica, porta un marito remissivo e fedifrago da cui si è separata (Ewan McGregor in dolente sottrazione recitativa), e una figlia che fuma erba e non mangia carne perché non vuole nutrirsi della paura animale. La cena dopo il funerale è antropofagia dei sentimenti, dissotterramento selvaggio del rimosso, crudeltà abominevole attorno al tavolo che diventa brutalità grottesca sul pavimento dove madre e figlia più grande, dannatamente simili loro malgrado, si contendono una boccetta di pillole come il simulacro del dominio. Non c’è alcun trionfo, nella pièce di Tracy Letts come nel film che a questa s’ispira. Un’opera di attori che si affida ciecamente alla loro grandezza (come la regia, discreta o addirittura sopraffatta), regalando a ognuno un apogeo di mostruoso istrionismo: se le emozioni sono un ring, c’è pochissima aria tra le corde - talvolta soapoperistiche - ma il veleno è ripartito per tutti i personaggi sulla scena. Scarna, concede qualche campo lungo alle pianure arroventate d’agosto, coincidente con quel piccolo esasperante spazio di non detto che strangola sempre più delle urla.
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