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Philomena

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Philomena

di FilmTv Rivista
8 stelle

Stephen Frears è tornato. In Gran Bretagna - dopo la sfortunata trasferta statunitense su commissione di Una ragazza a Las Vegas - ma soprattutto nel proprio cinema, calligrafico finché si vuole ma a suo modo unico nel coniugare rigore, amarezza, ironia e geometrie formali. Appoggiandosi alla storia vera di Philomena Lee - rinchiusa in convento poiché incinta sul finire degli anni 50 e poi costretta ad abbandonare il fanciullo, adottato da una coppia americana - costruisce un tessuto pesante di reminiscenze, colpe ed espiazioni intorno alla donna, corpo resistente sulle cui pieghe interiori si nascondono piaghe ancora sanguinanti. Alla vicenda dell’anziana signora si affianca il contemporaneo sarcasmo veicolato da Martin Sixsmith, giornalista emarginato dalla BBC e intento a dipanare la nebbia attorno alle verità rinchiuse nel convento di Roscrea, Irlanda. Il comico Steve Coogan lavora di scrittura dissacratoria - tra stilettate di Martin all’intransigenza cattolica e reticenze di una Philomena ancora succube del retaggio a lei imposto in tenera età - mentre Frears contrappunta in regia con ricercata filologia estetica. La macchina da presa segue i tempi che rappresenta, ora sprofondando nel passato con meccaniche di ripresa pesanti e filtri di “grana” spessa, ora adattandosi al presente “liquido” con scivolamenti leggeri da un luogo all’altro in camera car, o da un personaggio all’altro in carrelli invisibili, quasi immateriali. Quella di Frears è l’operazione audiovisiva di un maestro di cinema nuovamente impegnato in un progetto stimolante, socialmente stratificato e reso personale da una messa in scena sofisticata e dalla direzione d’attori frontale di chiara derivazione teatrale, con Judi Dench primadonna di inarrivabile (ma mai fagocitante) carisma. La riflessione sulle radici (le aberrazioni clericali, la diaspora irlandese, la liberazione sessuale americana, il cinismo del giornalismo d’inchiesta, lo scontro del figlio gay di Philomena con l’arretratezza ideologica repubblicana di Reagan e Bush Sr.) incontra il presente quando la protagonista visiona i nastri super8 del figlio, custoditi dal compagno americano. Il linguaggio filmico diviene così componente metafisica, capace di traghettare lo spirito del tempo attraverso le generazioni e di colpirci con le sue possibilità emozionali. In Philomena, lavoro solido e meticoloso, Frears ribadisce con forza la propria visione della settima arte: per lui, il cinema e i suoi racconti sono soprattutto questioni di stile, di forma, di estetica applicata ai sottotesti.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 51 del 2013

Autore: Claudio Bartolini

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