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A proposito di Davis

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su A proposito di Davis

di Peppe Comune
8 stelle
Llewin Davis (Oscar Isaac) è un folk singer di talento. Un tempo faceva coppia con Mike e il loro disco ebbe un discreto successo. Poi Mike decise di suicidarsi e la carriera da solista di Davis stenta a decollare. Sempre in compagnia della sua fedele chitarra, orbita costantemente nel quartiere del Greenwich Village a New York suonando in giro per i locali dove riesce a guadagnare quanto gli basta appena per sopravvivere. Ha un padre rinchiuso in una casa per anziani ed una sorella che non apprezza affatto il suo fare sregolato. Gli unici amici che ha sono quelli che condividono con lui la passione per la musica folk, come la coppia Jim (Justin Timberlake) e Jean Berkey (Carey Mulligan), con la quale ha anche avuto occasionali rapporti sessuali. Non ha una dimora fissa Davis e dorme dove gli capita, in casa di chi gli offre volentieri un divano per la notte. Soprattutto i Gorfein (Robin Bartlett ed Ethan Phillips) sono affezionati a lui, una coppia borghese di New York che sembra assumere nei suoi confronti un atteggiamento di sincera protezione. É il loro gatto a diventare un inaspettato compagno di viaggio di Davis, l'elemento nuovo che conferisce traettorie oblique alla sua "monotona" esistenza. 
 
 
Ispirati dalla vita del folk singer Dave van Ronk, i fratelli Coen aggiungono con Llwein Davis un altro antieroe disilluso alla loro nutrita galleria di "tipi d'autore", quelli che hanno consentito al loro cinema di analizzare gli Stati Uniti nel profondo dei suoi caratteri identitari sempre oscillando tra il serio e il faceto, tra l'utilizzo ironico di faccende serie e l'istigazione a guardare con occhi attenti relazioni umane portate al limite del paradosso (per un analisi più accurata della poetica dei fratelli Coen, mi permetto di rimandarvi ad un mio scritto, "La filosofia ironica dei fratelli Coen"). In quest'ottica, "A proposito di Davis" (vincitore del Gran Prix speciale della giuria a Cannes) diventa un'elegia malinconica del mondo musicale che orbitava a New York nel "leggendario" Greenwich Village, in quello che all'epoca sembrava essere l'ombelico della musica mondiale, fosse solo perchè dava una patria certa a fermenti artistici in divenire e perchè ad ognuno veniva offerta la possibilità di dare visibilità al proprio talento musicale. Siamo nel 1961, in un periodo in cui i locali pullulavano di serate canore e i folk singer erano sempre pronti ad esibirsi con la loro fedele chitarra, quando erano più i dischi che si producevano che i soldi che giravano ed ogni artista sognava di fare la canzone giusta per la svolta definitiva. Il film restituisce a dovere lo spirito di quei tempi, e lo fa dando il giusto risalto alle canzoni (ce ne sono di bellissime) ma senza cadere nel tranello di giungere ad un quadro nostalgico impostato sul più classico "come eravamo". Ma soprattutto, lo fa investendo tutto sulla presenza onnicomprensiva di Llewin Davis (interpretato da un Osca Isaac sorprendentemente bravo come folk singer) il quale, nella sua personalità ondivaga, incarna tanto le fattezze dell'artista male in arnese tutto assorbito dall'aurea crepuscolare prodotta dalla musica che suona, quanto l'uomo americano che annusa in maniera più o meno consapevole i venti del cambiamento incorsi nel paese. É un uomo dall'esistenza precaria e dai sentimenti affatto consolidati Davis, con una personalità spigolosa ed umorale, troppo geloso del suo talento per giungere a facili compromessi con l'industria discografica e neanche tanto dispiaciuto di rimanere un ramingo a vita, dato che ciò gli impedisce di iniziare seriamente a prendersi le adeguate responsabilità. "Non ha rapporti affettivi con nessuno e nessuno fa davvero parte del suo mondo", scrive acutamente Spopola (alla cui bella ed assai esauriente recensione vi rimando), ha un modo tutto suo di essere anticonvenzionale, tendente a respingere piuttosto che ad attrarre ("Tu sei il fratello scemo di Re Mida, tutto quello che tocchi diventa merda", gli rinfaccia una Jean assai risentita con lui). Il film segue un andamento circolare e si consuma tutto in un arco temporale di una settimana circa. Si apre e si chiude allo stesso modo, con Davis che si esibisce al Gaslight Cafe e che finisce per essere picchiato da un uomo per un motivo che vedremo chiarirsi solo seguendo l'evolversi della storia. Nel mezzo, si pedina la vita di Davis, tutto preso dai tentativi di sfuggire ad un inverno gelido che l'ha sorpreso senza cappotto e dall'interruzione di una gravidanza imprevista che lo vorrebbe padre indesiderato. C'è poi naturalmente la sua musica da promuovere ed un ultimo viaggio da compiere per cercare di farla decollare definitivamente. Un viaggio fino a Chicago per fare un'audizione di fronte a Bud Grossman (F. Murray Abraham), il potente produttore che potrebbe cambiare la sua sorte artistica. Un viaggio intriso di umorismo nero (e che da al film quella impronta noir venata di grottesco tanto cara ai fratelli del Minnesota) che ha tutti i crismi di essere quello del dentro o fuori, fatto insieme ad un certo Roland Turner (John Goodman), un musicista jazz che "ridicolizza" la musica folk, e Johnny Five (Garrett Edlund), il suo taciturno accompagatore, due personaggi alquanto ambigui che accrescono la sensazione di sostanziale indeterminatezza che avvolge la vita di Davis. Suo compagno d'avventura diventa il gatto dei Gorfein (che si scoprirà chiamarsi Ulisse), che appare e scompare nei momenti più disparati confondendosi con altri della sua stessa specie felina, l'unico elemento di novità in una vita che, pur nel vorticoso andirivieni di cose diverse, arriva sempre agli stessi esiti. Davis è sempre al punto di partenza, dopo aver dormito ancora su altri, nuovi, divani e suonato dove l'occasione del momento ha voluto, lo stato della sua arte non riesce mai ad affrancarlo dalla ristrettezza economica di sempre. Del resto, Llewin Davis è proprio come la musica che suona e i Coen ne hanno fatto un'icona perdente in un tempo popolato da tanti "sognatori" con la chitarra. "Se non è mai stata nuova e non invecchia mai è una canzone folk", dice al termine di una sua esibizione canora, parole che, se da un lato servono ad attribuire il crisma della "classicità" alla musica folk, dall'altro lato danno anche il senso di un qualcosa il quale, nel suo continuo ripetersi secondo canoni facilmente riconoscibili, rischia di rimanere ingabbiato in una condizione di persistente improduttività. Già ho accennato al fatto che il film si apre e si chiude allo stesso modo. Urge aggiungere che tra le due sequenze, oltre alla presenza dell'esibizione di una canzone che Davis soleva fare solo in coppia con Mike, la differenza più importante sta nel fatto che in quella finale Davis, mentre si accinge ad uscire dal retro del locale, appunta la sua attenzione su un giovane cantante salito dopo di lui sul palco che mai aveva visto fino ad allora : quel giovane cantante è Robert Zimmerman (che sta cantando "Farewell"), che diventerà famoso in tutto il mondo col nome di Bob Dylan, l'autore che contribuirà a sdoganare la musica folk dai circoli ristretti in cui fermentava e che influenzerà non poco le sorti della musica rock. La cosa non è stata messa li a caso, quindi, se si considera la struttura narrativa adottata, che ruota esclusivamente intorno alla figura di Llwen Davis, e si ricorda che i fratelli Coen non sono i tipi da perdersi in gratuiti esercizi di stile, allora credo che si possa dire che ha probabilmente ragione Valerio-Spopola quando scrive che la "storia di Llwin Davis intende essere alla fine anche un indiretto e camuffato omaggio a Bob Dylan". Un bel film trasportato da momenti musicali di struggente bellezza.
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