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A proposito di Davis

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su A proposito di Davis

di michemar
7 stelle

            Appena sono state proclamate le candidature ai Premi Oscar di quest’anno, tanti di noi si sono parecchio sorpresi per le poche volte che abbiamo sentito il titolo di “Inside Llewyn Davis” e qualcuno ha gridato allo scandalo. E’ un fenomeno frequente, è normale che tutti gli anni qualcuno o qualcosa resti fuori dalla autoreferenziale cerimonia della notte della Academy. Nascono dispute e se ne discute per un po’ di giorni, poi... passa. A pensarci bene, tranne poche e clamorose dimenticanze, quelle esclusioni con il tempo sono sembrate giustificate, anche perché – e questo è ancor più clamoroso – molto frequentemente chi ha dissentito indignato non aveva ancora visto il film e semplicemente faceva affidamento sul nome del regista e su quelli del cast. Quindi, per principio, la pellicola esclusa meritava rivincita e vendetta. Per esempio in questi giorni ho perfino letto in merito di “A proposito di Davis” su un mensile di cinema molto noto “...nonostante l’evocativa fotografia in bianco e nero...”: di quale film parlava l’estensore? Questa è solo una premessa; i fatti dicono poi che il film dei fratelli Coen abbia ricevuto solo due candidature e per giunta solo nel campo tecnico: fotografia e sonoro. A questo punto la domanda: ma la celebre coppia di fratelli registi e sceneggiatori sono stati maltrattati e/o trascurati o semplicemente la storia di Llewyn Davis ha entusiasmato poco i membri dell’Academy?

            E’ dura in qualsiasi campo dell’attività umana quando l’ambiente dove lavori ha grandi attese per quello che fai. Quando sei considerato quasi un genio per gli eccellenti risultati che hai ottenuto, la cosa più difficile è confermarsi ancora, è fornire prestazioni all’altezza della tua fama. Ma non ripetersi è umano e normale, rientra nelle vicende della vita. La cosa sbagliata invece è che chi deve giudicare si esprime positivamente a prescindere dall’effettivo valore del prodotto presentato, solo perché proviene dal presunto genio. Ethan e Joel Coen hanno saputo realizzare grandissimi film per merito della loro geniale creatività: alcuni dei loro film sono universalmente riconosciuti come veri cult della storia del cinema. Basta fare due titoli: Il grande Lebowski e Fargo. Altre volte sono stati più cervellotici e meno facili, ma nondimeno artistici e qualitativi. Un esempio recente riguarda “A serious man”, un film che tratta seri argomenti esistenzialisti con l’umorismo sarcastico tipicamente ebraico oppure possiamo parlare del loro film forse più bello e più classico, “L’uomo che non c’era”, un bianco e nero carico di mistero e silenzi, in verità più noir che blanche.

            “A proposito di Davis” è un buon film e per diversi aspetti, ma non è secondo me il capolavoro che taluni hanno proclamato. Un film che parte con un idea seminale che covava nella mente dei due terribili fratelli già da anni e che aspettava di essere sviluppata. Loro hanno pensato bene di iniziare il racconto proprio da quella scena e di farlo anche finire con la stessa scena ma non per questo, come in tanti hanno scritto, è una racconto circolare, una specie di loop, bensì è un lunghissimo e unico flashback che ci viene mostrato appena dopo: uno sconosciuto che insulta e picchia un giovane cantante e chitarrista chiamato Llewyn Davis sul retro buio di uno dei tanti localini del Greenwich Village dove si suona folk e solo folk. Il flashback/film ci mostra la vita di sopravvivenza di un ottimo e spiantato folk singer (Davis) negli anni a cavallo tra i ’50 e ’60 quando erano tanti come lui che cercavano di sfondare, ma la fortuna non lo assiste molto e in più non lo aiuta il suo pessimo carattere. Forse perché senza soldi e senza un letto fisso, ma un divano in casa dell’amico di turno, con il padre in un ricovero per anziani, una sorella che non lo sopporta, Llewyn è un tipo scorbutico e non amichevole (non ha un vero amico) totalmente dedito alla sua arte. E’ in verità un cantante chitarrista di ottimo valore, ispirato e con un buon repertorio, che purtroppo, come gli dice un produttore (cameo di F. Murray Abraham) non porta soldi. Come dire un ottimo perdente di successo (potenziale). Nella ricerca disordinata e scoraggiante della soluzione alla sua vita succede che ha qualche relazione con donne, davvero saltuarie, come succede con Jean (Carey Mulligan) che tanto è risentita verso di lui che lo maltratta ogni volta che lo vede. Anche in fatto di donne insomma altro fallimento. Viene in mente “come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale”, ma tant’è, nel mondo dello spettacolo si sa che pochi riescono. E la storia, dopo tanto peregrinare da N.Y.C. a Chicago e ritorno, va a finire appunto in quel viottolo nel retro del locale dove è iniziato, con lo stesso cazzotto con cui Davis era stato messo a terra. E questa seconda/stessa volta si capisce finalmente anche il perché della vendetta dell’uomo nel buio.

            E’ sicuramente un buon film, ma nulla in più. E’ come se gli mancasse qualcosa, soprattutto gli manca l’emozione: è un film freddo, anche se riscaldato dalla bellissima musica dei folk singers, dal bellissimo colore della fotografia virata a seppia, dalle belle parole dei testi delle canzoni (motivo per cui vien voglia di vedere ancora il film), dalle ottime figure di secondo piano, tutti disegnati con cura anche se di breve apparizione. In realtà quello dell’eccellente Oscar (che nome premonitore!) Isaac è un vero tour de force, in quanto è sempre e continuamente in scena, per tutti i 105 minuti, dando qua e là la possibilità di parlare alla sua (poco) amica Jean, al suo ragazzo Jim (un impettito Justin Timberlake), al gestore del localino dove ogni tanto suona. Da aggiungere il cameo del solito immancabile John Goodman che come sempre recita se stesso.

            Oscar Isaac è davvero bravo, oltretutto è un dotato cantante e chitarrista, con una buona preparazione alle spalle dovuta a una precedente esperienza in un gruppo musicale. Secondo me dopo questa prova eccellente si apriranno più porte davanti a lui, avendo saputo sfruttare la buona occasione fornita dai fratelli Coen. Molto bella e giustamente candidata agli Oscar la fotografia di Bruno Delbonnel, che sa di antico, di ricordi lontani, ma sfortunatamente per lui il bianco e nero di “Nebraska” sarà difficilmente battibile. Bravi come sempre i fratellini Coen, per l’idea, la sceneggiatura divertente e dalle battute fulminanti. Peccato solo per una riuscita a metà del film che appunto ritengo una buonissima opera ma non memorabile.

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