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A proposito di Davis

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su A proposito di Davis

di myHusky
7 stelle

Poco più di un'ora e mezza e si torna a dove tutto era iniziato. Tra ombre e luci, una canzone folk in un locale del Village e, subito dopo, un pestaggio. Inizia e finisce così la storia dell'ultimo personaggio creato da Joel e Ethan Coen, che, questa volta, si sono ispirati alla figura del cantante folk Dave Van Ronk, attivo già dai primi anni '60. 
Inside Llewyn Davis, è l'ultima fatica dei due fratelli statunitensi. Una ballata cinematografica malinconica e desolata, dai toni amari e dall'ironia nera. 
 
1961, Greenwich Village. Llewyn Davis è un cantante folk malinconico e oppresso dai sensi di colpa che, in seguito alla grave perdita del suo partner artistico Mike, è alla ricerca dell'indipendenza artistica. Quel poco che è riuscito a guadagnare dalle sue esibizioni l'ha speso per produrre il suo album da solista che, però, non ha riscosso un grande successo. Così è costretto a chiedere prestiti e a farsi ospitare da chiunque abbia avuto anche un minimo contatto con lui; come Jean, fidanzata dell'amico e cantante Jim, rimasta incinta di un bambino del quale Llewyn potrebbe essere il padre. 
Seguiranno così una serie di sventurate avventure, tra una corsa dietro ad un gatto rosso e un lungo viaggio verso una fredda a nevosa Chicago.
 
Inside Llewyn Davis è uno squarcio all'interno della vita triste e desolata di un personaggio tipicamente coeniano. Non ha inizio e non ha fine, ed è per questo che, in modo circolare, dopo 105 minuti, torniamo da dove eravamo partiti: da una canzone. Proprio la musica, che spesso ci viene negata dagli stessi capricci di Davis, è l'unico motore, l'unica ragione di vita per un protagonista a cui non è rimasto più niente. Sentiamo, e osserviamo, tutta la tristezza di Llewyn in quelle note e in quella voce. Dopotutto, di malinconia e di solitudine è fatta la vita di Davis.  
Così, prendendo ispirazione dalla scena artistico/musicale anni '60 di Greenwitch Village, Joel e Ethan Coen, dopo l'episodio de Il Grinta, tornano sul grande schermo proponendo uno dei loro personaggi più classici: l'antieroe, il vinto. 
Llewyn Davis è schiacciato non tanto dalla società e dalle circostanze (che comunque non giocano a suo favore), ma principalmente da se stesso. Il sogno di una vita e le tendenze autodistruttive entrano in conflitto e lo opprimono, ostacolando continuamente la sua carriera e i suoi propositi.
Attraverso l'occhio dei due fratelli cineasti osserviamo dall'interno, proprio come il titolo suggerisce, la vita di un perdente di natura senza possibilità di riscatto che, anche quando si sente pronto a dare una svolta alla propria vita, si ritrova irrimediabilmente oppresso. Subentrano così anche i fattori esterni che, quasi come una punizione divina, calpestano e pigliano a calci Davis, gettandolo ai bordi delle strade e della sua esistenza. Significativa, da questo punto di vista, la sequenza dell'esecuzione del brano di fronte al produttore di Chicago che, al termine della canzone, afferma che "non si fanno i soldi con quella roba".

È un quadro particolarmente desolante quello che ci propongono questa volta i fratelli Coen. Tutto procede con lentezza e senza stupore, a rimarcare la sensazione di sconfitta e di vuoto che logora il protagonista. I tempi sono lenti e dilatati, le atmosfere sono ora fredde, come la neve di Chicago, ora calde come le malinconiche e sofferte ballate di Davis. 
Una regia eccelsa e particolarmente curata, che riesce a portare fuori, nelle inquadrature e nelle sequenze, tutta la desolazione che Llewyn si porta dentro, senza rinunciare, però, alle piccole emozioni.
Complimenti anche all'ottimo cast: oltre all'ottima interpretazione di Oscar Isaac, nei panni di Llewyn, va menzionata anche Carey Mulligan, nel ruolo dell'antipatica e iraconda fidanzata di Jim, e John Goodman. Bravo, seppur non strepitoso, anche Justin Timberlake.

Inside Llewyn Davis segna il ritorno dei fratelli Coen al loro cinema e alle loro storie. Narrazione e poesia, dramma e (amara) ironia, per un lungometraggio orginale e, per gli altri motivi prima elencati, particolarmente apprezzabile.
Proprio un buon lavoro.

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