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L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su L'ultima ruota del carro

di supadany
5 stelle

Lasciati da parte i manuali d’amore vari, Giovanni Veronesi prova ad alzare il tiro, non che ci voglia molto visti i suoi pregressi recenti, scegliendo di attraversare trenta e passa anni italiani visti con gli occhi dell’ultima ruota del carro, un soldato semplice, un uomo sballottato da una parte all’altra.

Tentativo ambizioso e stimolante, ma che palesa diversi limiti.

Comincia a lavorare fin da giovane Ernesto (Elio Germano), si sposa con Angela (Alessandra Mastronardi), coltiva sogni che non lo portano lontano, cambia più volte lavoro, sembra svoltare quando l’amico del cuore Giacinto (Ricky Memphis) lo fa entrare nel “suo” giro d’affari, ma è un fuoco di paglia proprio di una stagione di disfacimento generale (apparentemente) in dissolvimento.

Ma la vita va avanti, tra pericolosi sbandamenti, amici che se ne vanno e possibilità non colte.

 

Elio Germano

L'ultima ruota del carro (2013): Elio Germano

 

Presentato con riferimenti illustri, sicuramente è un film che tenta di proporsi in modo diverso, apprezzabile per la scelta di seguire una persona, più che un personaggio, normale, proprio un italiano medio, un po’ sempliciotto, spesso funestato dalle sue stesse precipitose scelte, ma anche capace di vedere, magari non al primo colpo, quel poco di buono che a tutti gli effetti la vita propone.

In fondo quando hai qualcuno che ti ama, un tetto sotto cui stare e non soffri la fame, il resto è tutto un di più, che si cerca di raggiungere, ma che tende a sfuggire, il che può far arrabbiare, vedi il finale in discarica, ma poi bisogna aggrapparsi a ciò che si ha.

Purtroppo, se dal “basso” della sua realtà il personaggio è di quelli ispirati, il contorno appare mitigato, quasi volutamente moderato, all’insegna di una medietà che non può portare lontano, così che si ride pochino e si riflette giusto poco di più ed i fatti eclatanti che segnano le varie stagioni, come l’omicidio di Moro, la fuga di Craxi e l’avvento berlusconiano, passano senza lasciare un evidente segno (soprattutto nel primo e nel terzo caso).

In generale, con meno di due ore a disposizione, era ovvio un appiattimento, d’altro canto però, quando si cerca un ampio respiro, soffocare in tempi ristretti alcuni rimandi può risultare anche controproducente e così spesso non si trova il verso per cesellare i momenti topici (vedi ad esempio tutta la parte legata alla malattia).

Così, ci rimane più che altro la figura della persona Ernesto, con un Elio Germano chiamato prima a ringiovanire e poi invecchiare, ma anche lui ha poche occasioni per far uscire la foga che è capace di trasmettere (ciò avviene con giustezza praticamente solo nel finale), in più, a scompaginare le carte in tavola, ecco l’artista interpretato da Alessandro Haber, forse l’unico pezzo caparbiamente presentato fuori posto, al contrario di Ricky Memphis che ci mette un po’ di pepe, ma non può andare molto lontano.

Rimane quindi un film più valido per la descrizione personale che per il quadro d’insieme, aspetto non trascurabile dato che viene richiamato sovente, così che si rimane vittima delle ambizioni quando un inquadramento più umile avrebbe consentito probabilmente una migliore coesione.

Nella sostanza trascurabile, seppur con qualche buona cartuccia da spendere. 

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