Espandi menu
cerca
L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

Recensioni

L'autore

LorCio

LorCio

Iscritto dal 3 giugno 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 145
  • Post 34
  • Recensioni 1625
  • Playlist 251
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su L'ultima ruota del carro

di LorCio
5 stelle

È, a suo modo, un film importante, L’ultima ruota del carro, perché sancisce, con una certa determinatezza, l’inconciliabilità della commedia all’italiana intesa secondo la nostra tradizione con il cinema italiano contemporaneo. Che oggetto è l’ultimo film di Giovanni Veronesi, alla disperata ricerca di un riconoscimento artistico e culturale da parte dell’intellighenzia? La risposta si trova nella domanda: è il tentativo, parzialmente riuscito, della ricollocazione di un autore di commedie commerciali all’interno della famiglia della commedia nostrana, la quale, peraltro, conta ormai pochi adepti e assolutamente non all’altezza dei genitori (salvo Francesco Bruni e Paolo Virzì, che non a caso sono stati allievi di Furio Scarpelli). Cosa sarebbe stato L’ultima ruota del carro nelle mani, che so, di Age e Scarpelli? Avrebbe potuto essere ciò che Una vita difficile di Risi-Sonego-Sordi e C’eravamo tanto amati furono per quella generazione: una storia comune ma degna di essere raccontata, un bilancio e una rapsodia generazionale.

 

Cos’è invece? È una storia irrimediabilmente carina, sicuramente piacevole, indubbiamente empatica, ma banalotta nello sviluppo, qua e là già vista in troppi altri film, non di rado superficiale. Non ho citato a caso gli sceneggiatori principi della commedia all’italiana e devo citare anche il nome di Ettore Scola per raccapezzarci nella semplice complessità di questo film. Perché Scola? Perché, non so fino a che punto volontariamente, L’ultima ruota del carro contiene molti riferimenti al cinema di Scola, che in qualche modo possiamo intendere come la messa in pratica più ragionata della teoria della commedia all’italiana, più dell’istintività calcolata di Monicelli e dell’indolente cinismo di Risi: la discarica che apre e chiude il film non può che richiamare Dramma della gelosia, il monologo a tavola su Berlusconi viene diretto da quello del gerarca bonaccione Renzo Palmer ne La famiglia, il rapporto tra i due amici nel corso del tempo e perfino l’invecchiamento fisico del protagonista ha qualcosa di C’eravamo tanto amati (e, con un azzardo quantomeno imprudente e naturalmente fuori luogo, il terrazzo in cui si stendono i panni proviene dal serissimo ma scoliano Una giornata particolare). E così ci limitiamo solo al caso di Scola, ma si potrebbero trovare tantissimi altri riferimenti a quella tradizione (un esempio: la villa con festa di Una vita difficile) quasi come se gli autori avessero voluto tutelarsi recuperando un mondo irrecuperabile che non può più appartenere, nonostante l’accanimento terapeutico, alla nostra stanca cinematografia.

 

Il film si sviluppa con un’ambizione abbastanza plateale (più di trent’anni di storia italiana vista dagli occhi di un umile lavoratore romano che ha a che fare, in un modo o nell’altro, con Brigate rosse, socialisti, berlusconiani, pittori d’avanguardia, nobili decaduti, proletariato), vuole mischiare storia patria e storia privata (un genere tipicamente italiano) e non riesce sempre a raggiungere un equilibrio tra narrazione ed intenzioni tale da essere fluido e trascinante. È un perfetto esempio di quanto sia fondamentale, nel cinema italiano d’oggi, la nostalgia: il passato è il rifugio inevitabile ed è proprio questa visione ottimistica del nostro passato ad essere il vero punto di forza del film dominato dalla figura di un uomo normale. La normalità del personaggio-uomo comune-italiano medio Ernesto Marchetti sta nell’assenza di eventi apparentemente eccezionali, nella quotidianità messa in scena senza enfasi, nel suo strizzare l’occhio allo spettatore.

 

E inoltre con un manicheismo forse eccessivo, vuole bene ai suoi personaggi, a parte quelli palesemente detestabili ridotti a macchiette (il padre violento dell’ottimo Massimo Wertmuller che non vorresti perdere subito per strada, il socialista delinquente di un gigionesco Sergio Rubini, la donna Giulia con ghepardo in parco di Francesca D’Aloja, la nobildonna della rediviva Dalila Di Lazzaro), e si trova qui il dato incontrovertibile della lontananza del presente dal passato della nostra commedia: L’ultima ruota del carro è un film piacione fino alla sdolcinatezza, un po’ paraculo come solo certi romani sanno essere, estremamente empatico nella sua concezione più popolare senza mai essere demagoga (nonostante le Br, Silvio e Bettino). La storia c’è, il cast è intonato (Elio Germano, che ninomanfredeggia ogni tanto, è al solito superlativo, ma le sorprese sono il ritrovato Ricky Memphis e un’Alessandra Mastronardi che stefaniasandrelleggia non poco; ma menzioni anche all’eccellente Alessandro Haber come Mario Schifano e alla leggiadra Virginia Raffaele), il reparto tecnico è delle grandi occasioni, il pubblico esce con la lacrimuccia e il sorriso (dopo il debordante ottimismo di Sole a catinelle, si punta ancora su una chimerica fiducia nel futuro), ma al film manca il respiro giusto, una chiave di lettura originale, una scioltezza che lo liberi dalle altissime intenzioni.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati