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Il venditore di medicine

Regia di Antonio Morabito vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il venditore di medicine

di alan smithee
5 stelle

Donne manager del piglio simile a quella resa (ottimamente) da Isabella Ferrari nel film di Antonio Morabito, potranno apparire sopra le righe, idealizzate, costruite a tavolino: almeno finché non te le ritrovi davanti e noti che, pur con qualche piglio caratteriale colorito in più, il discorso di fondo non cambia affatto.

In una società che vive, anzi sopravvive vampirescamente macinando numeri, traguardi, budgets sempre in crescita ma sempre da raggiungere se non superare, ed in cui la vendita esasperata di prestazioni, servizi, ancor più di oggetti, o medicine, come in questo preciso ambito, diviene il presupposto unico per andare avanti e scalare una gerarchia infinita in cui tutti chiedono, anzi esigono, ma a smazzare sono solo quei quattro disgraziati che stanno in fondo alla piramide, il senso del limite si perde di fronte ad una prospettiva di crescita smisurata ed economicamente anacronistica, ma tale da consentire il raggiungimento di profitti i cui frutti non si condividono equamente tra la collettività ma restano appannaggio degli squali abbarbicati in cima alla piramide stessa.

Ne Il venditore di medicine, a mio avviso, è superfluo o comunque non costruttivamente necessario andare ad opinare le eventuali possibili distopie presenti nella vicenda con quella che è la situazione reale nel settore. Il cinema racconta: è giusto e doveroso che si documenti, prima di farlo, ma anche coerente che venga lasciato libero di interpretare e trasporre.

Lo scandalo creato da una tendenza sempre più smodata ed accanita di vendita da parte di certe case farmaceutiche, ha fatto notizia assieme a quella dell’uso improprio di alcuni medicinali poi risultati addirittura dannosi se non mortali.

Il problema de Il venditore di medicine risiede semmai, sempre a mio avviso, in un certo accanimento narrativo spropositato e senza controllo, che rende il nostro protagonista, ambizioso informatore commerciale (buona prova da parte di un Claudio Santamaria “dall’ansia coinvolgente”) arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e all’utilizzo sconsiderato di tecniche e strategie di vendita al limite del ricattatorio, epicentro di un eccessivo, incontrollato concatenarsi di vicende.

In questo ambito, quelle personali, inerenti il rapporto di coppia, relative all’ossessione di una gravidanza in tempo utile da parte della moglie, scongiurata scelleratamente dal consorte, di parere totalmente contrario, somministrandole medicinali vieppiù pericolosi, innesta nell’ambito del film un accelerazione eccessiva al contesto narrativo della pellicola.

Un film che lascia qualche perplessità anche dal punto di vista tecnico, con quelle sue riprese tutte mobili, a volte poco centrate sui personaggi, con la macchina sempre addosso al protagonista, sempre tendente a primi piani, a volte inutili, spesso incongruenti, specie in contesti in cui si richiede una visione d’insieme.

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