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Il venditore di medicine

Regia di Antonio Morabito vedi scheda film

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La recensione su Il venditore di medicine

di OGM
7 stelle

Serrare i ranghi intorno alla tensione. La regia di Antonio Morabito vi riesce alla perfezione. Il suo racconto rimane saldamente avvinghiato a quell’idea, prepotente, irriverente, incurante di tutto e di tutti. C’è una missione da compiere, ed è del tutto sbagliata. Contraria alla morale, nemica dell’umanità, complice del profitto, al quale si è asservita come una fedelissima amante clandestina. Il rappresentante Bruno Donati deve piazzare ad ogni  costo i farmaci della ditta presso cui lavora. I prodotti della Zafer devono essere venduti più che sia possibile, anche ai malati che non ne hanno bisogno, anche a quelli che potrebbero essere curati meglio con altre sostanze, e, se necessario, vanno prescritti persino ai morti. I medici si lasciano corrompere tutti, tranne uno, che è solo un giovane idealista, e non ha ancora capito come va il mondo. E tranne un altro, che è già corrotto e colluso per i fatti suoi. La sfida è a chi offre di più, e vince chi, da una parte, è disposto a continuare a rilanciare, e chi, dall’altra parte, ha la capacità, ad ogni giro, di far salire il prezzo. Il principio è maledettamente semplice, crudamente succinto tanto che, ad abbracciarlo con troppa voluttà, si rischia di mancare la presa, di scivolare via, di ritrovarsi a mani vuote. Ma in questo film non accade: il piglio dell’autore ha la precisa determinazione di una tenaglia,  di una bocca dentata che afferra il concetto come un’arma espressiva tagliente, con cui fende il silenzio dell’incredulità e la suspense dello sgomento. La realtà si palesa con poche parole sussurrate, che mettono al bando le sfrangiature dell’ambiguità, che sono troppo scarne per suscitare clamore, e che, nella loro affilata sobrietà,  intendono andare a segno lontano da orecchie indiscrete. Questo universo anti-etico mantiene un contegno da azione fuori copione, da spettacolo dietro le quinte; da questo lato del palcoscenico non se ne avverte lo stridore.  L’entourage del protagonista  è in preda ad una tempesta dalla voce roca, ed è incertamente diviso tra chi quel vortice lo crea, e chi da esso si lascia deliberatamente trascinare, sapendo di non avere altra scelta.  Il vento porta verso l’autodistruzione, dopo che la vita di ognuno è stata ridotta ad una chimica combinazione di merce ed inganno. L’aria, turbinosa ma rarefatta, è l’atmosfera di una calcolata asfissia, falsamente rivestita di protocolli sanitari e di prestigio professionale. La sceneggiatura si lascia volentieri scarnificare, sotto i colpi di un cinismo dalla faccia pulita e dall’anima abissale, per esporsi, nuda, alla luce metallica di un ambiente sterilizzato dai sentimenti. L’estetica, studiatamente raffreddata da una condanna che si è preferito spogliare dagli accenti polemici per affidarla unicamente ai fatti, diviene così parte della sostanza documentale, frutto della ricerca svolta sul campo: è  testimonianza viva benché drammaticamente  inerte, diretta pur se mediata da  una scelta oculata del linguaggio.  La scrittura si riduce all’osso per non concedere alcun margine al dubbio, e per invadere, con la sua tenebrosa concisione, il vuoto creato dalla mancanza di calore. Ne Il venditore di medicine il cinema di casa nostra riesce a urlare pur mettendo la sordina, e ci consegna l’immagine amaramente sbiadita dei tristi traffici che sono noti a tutti e che piacciono a ben pochi, ma che nessuno, a tutt’ oggi,  si è dimostrato in grado di fermare.   

Claudio Santamaria

Il venditore di medicine (2013): Claudio Santamaria

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