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Il venditore di medicine

Regia di Antonio Morabito vedi scheda film

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maurri 63

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La recensione su Il venditore di medicine

di maurri 63
2 stelle

Visto in anteprima, e mi scuso con gli amici se oggettiverò degli spoiler.
Premessa: nonostante l'autore dichiari di conoscere il mercato delle medicine, avrebbe dovuto seguire meglio gli informatori. In famiglia, ne ho tre: nessuno di essi è così distante dal suo prototipo, peraltro, li definisce "informatore medico", mentre sappiamo bene che si tratta di "informatori farmaceutici", tutti laureati dunque in biologia, farmacia, chimica farmaceutica, ed oggi definiti dal contratto con la legalizzazione della laurea triennale ivi normalizzata. Tutto ciò premesso (alla maniera giudiziaria, ehm...), il film è il ricalco con modifica di tempo, interrogativi e nazione geografica di un film americano poco visto, "Amore e altri rimedi", dove la splendida (ahimé, allora) Anne Hathaway incontra Jake Gyllenhall, impegnato in una carriera come informatore farmaceutico per la Pfizer, azienda realmente esistente. Con un occhio a "Volevo solo dormirle addosso", di Eugenio Cappuccio, che ha per base la stessa storia (un capo area deve tagliare il personale), il film arriva in ritardo sul tema con oltre dieci anni. Forzato nell'esposizione linguistica, ma senza avere la forza civile di un dramma a tesi (si confronti con il mediometraggio di Costanza Quatriglio, "Con il fiato sospeso"), né la componente horror grottesca di   "Tagli al personale", la pellicola procede senza nessun sussulto, nella peggiore tradizione di finta commedia italiana, mostrando incertezze di regia e (laconici, mai ellittici) buchi narrativi. Il difetto è nel manico: le sceneggiature vanno scritte dopo essersi ben documentati! Ps suggeriamo al regista di rivedere il mondo degli informatori: al momento, è una professione femminile, in cui cioè l'organico complessivo delle donne è circa il 60%, mentre c'è una sola donna (ne tacciamo il nome) general manager. Sprecata, come quasi sempre le accade, Isabella Ferrari (servita da dialoghi di routine), manager inflessibile e apparentemente senza cuore, esornativa, benché protagonista (ma poi, può essere tale ?), la presenza di Claudio Santamaria che, nelle sue sale d'attesa medica, nel confronto con i luminari, nel proporre il comparaggio, prova, mantenendo la stessa maschera espressiva a reggere da solo il peso del film. Da sempre lontano dal mondo del lavoro, il cinema italiano (come accadeva a Virzì ne "Tutta la vita davanti") offre spaccati inverosimili e probabilistici, senza mordere. Almeno, graffiasse. 

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