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Nymphomaniac

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Nymphomaniac

di mm40
3 stelle

Volume I

 

Un uomo salva la vita a una donna, malmenata e abbandonata in un vicolo, ospitandola e curandola. Lei gli racconta le sue esperienze di ninfomane.
 

Controcorrente e provocatorio sono due bellissime qualifiche, ma che succede quando Lars Von Trier da essere tutto ciò passa a 'fare' il provocatore controcorrente? Il succo del discorso è che Nymph()maniac volume I è un film 'alla' Von Trier, non semplicemente 'di'; uno sfoggio delle vaste capacità tecniche, espressive, immaginifiche del regista danese, ma nulla di più: perchè la sceneggiatura da lui stesso scritta è un guazzabuglio di mediocri espedienti assortiti senza alcuna fantasia, di esche - termine non casuale - per un pubblico sempliciotto, attirato dallo scandalo e sostanzialmente impermeabile alla questione artistica. Sì, parole grosse, questione artistica: se non ce ne fosse una, dietro a un film del genere, si starebbe solamente parlando di un blando lavoruccio erotico (con inserti hard: qualche fotogramma di cunnilinguus e di penetrazione) che fa leva su prurigini e morbosità popolari pur di racimolare qualche briciola di gloria e di incassi. Questo, parlando di Lars Von Trier, non è possibile. E allora cosa rimane, cosa pensare di quest'opera superbanale, dotata di argomenti pur validi, ma nella fattura pregna di luoghi comuni e assemblata con imbarazzante dozzinalità? Si può solo intuire che il regista volesse raccontare l'incubo di disperazione del maschio, quel giogo chiamato vulva ('mea maxima vulva', una delle rare invenzioni di genio del film) che dalla notte dei tempi domina la Storia dell'umanità spacciandosi per sesso debole, quello strumento di feroce sadismo che la donna non esita neppure per un istante a sfruttare quotidianamente per trarne personale guadagno, quest'ultimo foss'anche soltanto l'umiliazione dell'uomo. Una tesi maschilista a oltranza, senza dubbio, ma che Nymph()maniac volume I suggerisce a più riprese nella sua sconclusionata trama: una tesi coraggiosamente suicida, o per dirla con altri due aggettivi: controcorrente e provocatoria. Charlotte Gainsbourg, Uma Thurman, Christian Slater, Stellan Skarsgard e la giovane esordiente Stacy Martin - praticamente mai vestita in due ore di proiezione - sono il blocco centrale del cast: altrettante certezze (soprattutto la Thurman, che ce la mette tutta nel ruolo più ridicolo, più scritto-coi-piedi nella scena più maldestra in assoluto del lavoro). Il film finisce lanciando la visione del Volume II: indispensabile, perchè questa prima parte presa a sè non ha alcun compimento logico. 3/10.

Volume II

Proseguono i racconti della ninfomane a cui un uomo ha salvato la vita; l'uomo continua ad ascoltarla senza eccitarsi minimamente: la verità è che è vergine.


La seconda parte di Nymphomaniac è altrettanto sconclusionata e mal equilibrata della prima, come d'altronde prevedibile, o forse persino peggiore; sembra davvero incredibile che dietro la macchina da presa (e in calce al copione) si trovi lo stesso autore di Melancholia o di Idioti, di Dogville, di opere insomma nelle quali la storia di finzione ben si intersecava con una tesi - per quanto discutibile - ferrea, rigorosa, profonda. Nymphomaniac invece delude soprattutto su questo versante, mescolando in maniera dozzinale e ostentatoria sesso (erotismo, pornografia, voyeurismo, perversioni, morbosità) e cultura 'alta' (musica, letteratura, matematica, psicologia). Quest'ultima, la psicologia, esce proprio massacrata dalla visione del film, mattone che in oltre quattro ore di durata complessiva non prevede alcun tipo di sviluppo nelle dinamiche fra i personaggi, rimanendo fermamente ancorato alle concezioni di base: donna ninfomane / uomo vergine (nei due protagonisti principali), più in astratto: la prima crea e distrugge il mondo mentre il secondo subisce e si accontenta del suo ruolo di secondo piano. La violenza, l'aggressività, la vendetta sono le variabili che permettono a questa relazione malata, a senso unico di prendere qualche direzione imprevista (e generalmente, sembra di capire nel farneticante finale, sono armi del maschio: una sorta di autogiustificazione non richiesta e che ben poco spiega). Von Trier pare volersi difendere - senza compromettersi troppo, però - dalle inevitabili accuse femministe; la sua misoginia è una delle poche certezze che traspaiono da questo lavoro, che pure per il resto è messo in scena con la consueta maestria ed esteticamente offre alcuni momenti sicuramente godibili. E in effetti la scena conclusiva riassume sia le ottime capacità dell'autore che la sua volontà di autocritica maschile: ma è l'unica sensata nelle quattro ore totali. 3/10.

Voto complessivo 3/10.

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