Regia di George Stevens vedi scheda film
Tratto dal romanzo “Una tragedia americana” di T. Dreiser e accreditato di 6 oscar, il film si può dividere in due parti: la prima ora è soporifera, gli attori parlano poco (Montgomery Clift al limite dell’inespressivo) e la Taylor quasi una comparsa; quando ormai si è persa la speranza, il film ha un impennata di orgoglio e si trasforma da noioso feuilleton ad appassionante (non esageriamo!) noir. Comprensibile che il lungo prologo sia necessario al finale teso e drammatico, ma rischia di vanificare il lavoro di insieme.
Montgomery Clift, per la prima volta interprete di quell’atteggiamento di ansia e sbandamento della goiventù americana del dopoguerra che caratterizzera d’ora in poi le sue piu’ celebri interpretazioni, non riesce a dare spessore allo spaesato George, creando una scarsa corrispondenza fra ciò che avviene e le reazioni del suo personaggio. L’amore fra i due protagonisti, celebrato nella seconda parte del film come qualcosa di trascendente la morte, è costruito male e in maniera vagamente artificiale, poco coinvolgente.
Buona regia di Stevens, anche se risulta difficile perdonargli la prima parte del film. Abile nel relativizzare i sentimenti dello spettatore, “costretto” dagli eventi a fare il tifo per un personaggio in chiaroscuro.
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