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Mad Max: Fury Road

Regia di George Miller vedi scheda film

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La recensione su Mad Max: Fury Road

di ROTOTOM
8 stelle

Tira più un pel di gnocca che una cisterna a idrometano

Era il 1979 quando George Miller all’esordio fece sobbalzare dalla sedia gli spettatori di Cannes con il suo western posmoderno girato nell’outback australiano insieme a quello che diverrà il divo planetario Mel Gibson.

Max “Mad “Rockatansky, è un poliziotto in cerca di vendetta per lo sterminio della sua famiglia, in un mondo post apocalittico ritornato alla sua essenza primigenia della preistoria della modernità, dominato dalla violenza e animato come nel selvaggio west,  della (ri) conquista del territorio. Al posto dei cavalli, le auto. In assenza di legge, Mad Max ne conia una per conto proprio.
Un film rivoluzionario, reazionario e scorretto che proseguì poi lasciando sempre più da parte l’aspetto politico della storia per concentrarsi sulla spettacolarizzazione della violenza e la caratterizzazione di un nuovo medioevo tecnologico, i cui feticci di morte testimoniano il buio baratro nel quale l’umanità è sprofondata, arsa dalla luce di un sole impietoso.
Dopo divagazioni su altri temi – commedie, animazione– George Miller torna al vecchio amore seguendo le regole di Hollywood che impongono una rilettura in chiave contemporanea dei classici del passato, anche recente, per il vano tentativo di celare la sempre più evidente aridità artistica degli studios, incapaci di produrre soggetti originali e limitando il rischio sfruttando brand consolidati.

 

Tocca a Mad Max.

Tom Hardy

Mad Max: Fury Road (2015): Tom Hardy


 George Miller però non si limita semplicemente a rifare, gira nel deserto della Namibia un incubo folle, veloce, feroce. Visivamente disturbante e affascinante insieme. Per nulla accomodante verso lo spettatore trasportato di peso senza alcun prologo, in una storia che non esiste ma che deve correre e forte, per poter essere raccontata.

Quindi: ‘fanculo ai diversamente abili pinguini ballerini (vero scult dell’animazione); ‘fanculo ai maialini coraggiosi. ‘Fanculo anche al Mad Max cotonato anni ’80 in costume da streef fighter e alla sua velocissima Interceptor.  Mad Max  è svuotato di qualsiasi status che lo legava al mondo “prima”. Nessun cognome. Nessun poliziotto. Nessun criminale. Solo un reietto contro tanti reietti. Per trenta minuti Mad Tom Hardy Max, recita con una maschera di metallo in faccia.

 

Trama: Tira più un pel di gnocca che una cisterna a idrometano.  Al re di un mondo disfatto, la sua regina, Furiosa (Charlize Theron)  di nome e di fatto, rapisce cinque giovani concubine destinate a garantire la regale progenie al despota,  per portarle in salvo in una terra promessa e dare vita ad un nuovo mondo. Il re e tutti i suoi figli, gran figli del metallo cromato, la inseguono nel deserto. La aiuta Max, schizofrenico sopravvissuto a tutto ciò cui si può sopravvivere.

Nathan Jones, Hugh Keays-Byrne

Mad Max: Fury Road (2015): Nathan Jones, Hugh Keays-Byrne

Sabbia e sudore si fondono al clangore del  metallo e al rombo dei motori, in una delirante esplosione visiva che stordisce e non lascia il tempo di pensare. Trama ridotta all’osso, personaggi usciti dalla bidimensionalità da fumetto, tre battute tre.  Il tutto impastato in un immaginario visivo Punk/Nu Metal nel quale la carne e il metallo sono ormai elementi simbiotici di un medioevo post tecnologico nel quale gli elementi di un futuro ormai spazzato via dall’apocalisse acquisiscono una valenza allegorica para religiosa. Un misticismo sospeso tra il delirio febbrile e la ricerca della morte come elevazione dello spirito. Del mondo conosciuto, sprofondato in quel baratro accarezzato e poi sedotto in una pulsione di morte verso la quale la quotidianità contemporanea sempre più insistentemente  allude come una cassandra, rimane la mitologia della velocità con la quale quel mondo si è frantumato e carbonizzato. La velocità è l’unico viatico per la sopravvivenza. Il mezzo meccanico è una mutazione metallica informe, grottesca, che trasforma lo status symbol per eccellenza  nel mondo che fu,  in un impasto di feticci cromati inneggianti alla guerra.

L’impatto visivo è poderoso e Miller non ha paura di andare oltre il limite del plausibile sfoderando un film di tale brutale immediatezza, furore e linearità da far impallidire tutti i blockbuster ipercinetici in CGI in voga oggi. La sensazione è quella di assistere ad un film anni ‘70, brutto sporco e cattivo, con le auto vere, la polvere vera, il sudore vero. Un sole assurdo fa esplodere le cromature bislacche dei mezzi meccanici in una sensazione costante di decadenza, diretta conseguenza del mondo pre olocausto.

scena

Mad Max: Fury Road (2015): scena


Andare da un punto A ad un punto B. Constatare che al punto B nono c’è nulla e tornare indietro, al punto A. Semplice.
In mezzo, un interminabile inseguimento, sempre più sanguinoso, sempre più eccessivo ma al contempo unico viatico verso una forma di salvezza che possa assomigliare ad un simulacro di redenzione e libertà. Di fatto il film è un western postmoderno, un immenso raccoglitore di fondamenti del nostro mondo – la guerra, la competizione, lo scontro religioso, le società totalitarie che impongono il loro credo, il consumismo sfrenato e il controllo della massa, i simboli di fede esposti svuotati di misticismo e urlati a imporre paura e sottomissione – esplosi e ricombinati in figure totemiche elevate a potenza.
Max e Furiosa sono gli Adamo ed Eva di questo nuovo mondo che (forse) cambierà.  Esseri nuovi inseguiti dai demoni del metallo. La società misogina che opprime le donne e le relega a animali da riproduzione viene ribaltato e questo è l’unico sprazzo politico, evidente, in un film fortemente, volutamente di genere. Il genere è politico, sempre, ma non sa di esserlo e non declama, semplicemente fa. Gli eroi del film di genere si definiscono dalle azioni che compiono e Miller questa lezione la conosce bene. Poche le sospensioni narrative, che assomigliano più a momenti per tirare il fiato. E poi di nuovo a capofitto nel caos. E tra una incredibile battaglia con guerrieri legati a pertiche alte 4 metri; un concerto metal itinerante che segue le orde demoniache e crea una straniante colonna sonora diegetica; uomini corvi in desolate paludi infette e maleodoranti; corse a rotta di collo e incidenti spettacolari con la computer grafica al minimo, si rimane con la sensazione di aver assistito ad un vero esercizio di cinema. Felicemente frastornati, con l’eco dei motori in testa e il sapore acre della benzina in bocca.

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