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Il ponte sul fiume Kwai

Regia di David Lean vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il ponte sul fiume Kwai

di luisasalvi
8 stelle

Rivisto a distanza di tanti decenni, mi pare molto meglio di quanto mi fosse sembrato allora, e forse allora non fu sopravvalutato, come invece dissero molti intellettuali; e mi pare da rileggere in senso diverso. Molti lo travisano e parlano di scontro per questioni di onore personale fra i due colonnelli, ma soprattutto prendono tutto il film e la sua tematica troppo sul serio, mentre credo che ci sia una buona dose di umorismo, di parodia dei vari modi di vedere la guerra e forse anche un buon pizzico di ironia nei confronti del pubblico, in particolare del proprio pubblico che decreterà il successo del film. Vediamo: ci sono giapponesi, inglesi e americani, oltre a indigeni birmani come comparse poco importanti; l'americano si spaccia per ufficiale senza esserlo, nella vana speranza di essere per questo trattato meglio dai giapponesi da cui viene fatto prigioniero, ma otterrà buoni trattamenti con altri metodi, dal sorriso alla corruzione, e appena può scappa, contro il parere (ordine?) del colonnello inglese; appena liberato flirta con una infermiera dell'ospedale militare; poco interessato alla guerra e per nulla ad atti di eroismo, vuole tornare a casa e solo per questo confessa di essersi spacciato ufficiale senza esserlo; ma deve ugualmente guidare un gruppo di guastatori inglesi a far saltare il ponte; fortunato, abile, resistente, circondato da belle ragazze (le portatrici birmane) anche in mezzo alla giungla, ma alla fine non esiterà a buttarsi e morire per far saltare il ponte, "convertendo" il colonnello che aveva tentato di impedirlo: una stereotipa e divertita immagine dell'americano medio, che vuole vivere e godere la vita senza fanatismi, ma che è pronto a morire senza enfasi se è davvero necessario. Di fronte a lui, e nello stesso spirito parodistico, ci sono i due diversi ideali di onore e di amor di patria dei due colonnelli, giapponese e inglese. Il maggior merito del film, mi pare oggi a rivederlo, è quello di aver saputo dosare felicemente dramma e ironia, nel racconto e nella recitazione dei personaggi, in particolare del bravissimo Guiness, che ha saputo esagerare la sua ostinazione abbastanza da suggerire qualche sorriso che la sdrammatizza, ma senza arrivare a renderla farsesca; lo stesso può dirsi dello scontro ideologico: la sua ostinazione è dettata da eccessivo legalismo formalista, ma anche dalla sua volontà (necessità?) di conservare la stima dei suoi uomini per mantenerne la disciplina e la dignità di soldati; per il giapponese un soldato che si arrende ha già perso ogni dignità; perciò per lui la costruzione del ponte da parte degli inglesi è un'umiliante sconfitta, equivalente a un suo fallimento, che gli impone il suicidio, come per l'inglese è stato un successo glorioso da difendere; e il pubblico, come i suoi soldati, si commuove e si esalta di fronte al successo della sua ostinazione e finisce per costruire con impegno il ponte per il nemico, anziché boicottarlo. La celebre marcia favorisce e commenta maliziosamente la disciplina di questo esercito di prigionieri. Il finale è abilmente teso, da resa dei conti, ma riesce ad evitare eccessi retorici: il colonnello giapponese non ha bisogno di fare un karakiri che sarebbe stato forse eccessivo e retorico, perché il giovane volontario americano (non inglese, anche se arruolato con gli inglesi, prima che l'America entrasse in guerra) riluttante a uccidere con il coltello riesce a farlo; ma non riesce con il colonnello inglese, il quale nel fermarlo consente ai giapponesi di ucciderlo; poi, quando vede anche l'americano che lui riteneva vile morire nel tentativo di far saltare il ponte, si rende conto degli eccessi cui si è lasciato portare dal suo fanatismo; lo dice, ma ancora una volta il regista evita un melenso ravvedimento finale lasciandolo nell'ambiguità: sarà lui a far saltare il ponte, ma lo fa cadendo morente sul detonatore e lasciando qualche dubbio sulla precisa intenzionalità. L'ufficiale medico, che rappresenta la saggezza più disciplinata, commenta dall'alto che tutto è pazzia, nel caso che qualche spettatore non lo capisse da solo; ma anche questo è stato frainteso da chi lo ha riferito a questo finale, anziché a tutto il racconto e più in generale a tutta la guerra e ad ogni guerra.

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