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Regia di Eva Sørhaug vedi scheda film

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La recensione su 90 minutes

di OGM
8 stelle

Cronaca di un femminicidio. Furiosamente tentato, o fatalmente riuscito. Tre storie domestiche norvegesi ci spiegano come accade. Come, non perché. Il perché è lasciato alla nostra immaginazione. I motivi di quella violenza innaturale e definitiva rimangono infatti avvolti da un mistero fitto come il segreto che circonda l’intimità della coppia. Improvvisamente la passione evolve in una volontà di morte. Quel desiderio può seguire un piano attentamente studiato, oppure esplodere in un raptus distruttore. Per calcolo o per istinto, si uccide ciò che più si ama. Si cerca una via d’uscita sopprimendo la vita intorno a sé, cominciando da quella più vicina: la compagna, la moglie, i figli. La tabula rasa è la negazione di tutto, anche del dolore, della vergogna, dell’odio contro se stessi. Johan, Fred e Trond sono tre uomini estremamente diversi per carattere e condizione sociale, eppure scelgono tutti la stessa soluzione. Il mondo ostile, che li ha umiliati, è personificato in lei. La loro infelicità scompare, se non appare più riflessa nel suo sguardo, che li vede e automaticamente li giudica. Lui si sente sempre sotto osservazione. È la manifestazione deteriore del suo egocentrismo. Lei, in realtà, vive e pensa ad altro, ma è come se con ogni sua parola e ogni suo gesto volesse esprimere una valutazione su quel rapporto, giusto o sbagliato, appagante o deludente. Essere caduti in rovina, diventati schiavi della droga, o semplicemente aver perso il ruolo di protagonista della vita familiare sono situazioni che espongono al disprezzo. Johan, Fred e Trond lo intuiscono senza doverci ragionare sopra. Sentono incombere su di sé una minaccia tanto grave quanto indefinita, e, per difendersi, la anticipano con un attacco rivolto contro la prima, potenziale testimone della loro sventura.  Sono disperati ed incapaci di lottare, per questo si mettono a guerreggiare con le pistole, i veleni e con le braccia esercitate a sollevare pesi.  Scendono in campo in un terreno di battaglia facile, che conoscono meglio di ogni altro, ed è a portata di mano, chiuso tra le pareti domestiche, sicuro, circoscritto e confortevole. La voglia di ammazzare nasce, infatti, dentro casa. Inizia poco a poco, con piccoli segni di inquietudine, seminati distrattamente tra i mobili e gli oggetti di uso quotidiano, come sporadiche sbavature della normalità. Sono i primi sintomi di un male autolesionista, che erode lentamente la fiducia nella propria forza virile, secondo le varie accezioni del termine. Solo la generale perdita di senso li può salvare dal fallimento. Non devono più esistere valori da preservare o istituzioni da gestire, abitudini e traguardi con cui doversi continuamente confrontare; per sottrarsi alla resa dei conti occorre abolire tutti i termini di paragone, facendo sprofondare ogni cosa nel nulla. A ciò si arriva cancellando il passato, o consegnandosi al disordine dell’incerto presente. In un modo o nell’altro, bisogna tuffarsi nell’oblio di sé, con un approccio concreto e sistematico, oppure impulsivo ed idealista. Il film di Eva Sørhaug - regista e sceneggiatrice al suo secondo lungometraggio -  scandisce il ritmo irregolare e concitato di quei preparativi (della convenzionale durata di novanta minuti) che, in due casi su tre, sono soltanto le inconsapevoli premesse dell’atto finale, create dall’omicida o dalla sua vittima. Il meccanismo funziona senza regole, partecipando in pieno alla mediocrità del mondo. La tragedia si improvvisa. Ma non per questo è meno grande la devastazione che produce. 

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