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Leones

Regia di Jazmín López vedi scheda film

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La recensione su Leones

di Immorale
7 stelle

Un film coraggioso, senz’altro. Di difficile approccio a causa della sua fumosità e rarefazione. Un film cerebrale, sorretto innegabilmente dalla prorompente voglia della giovane regista argentina di fare cinema “altro”, riversandovi tutte le sue passioni visive e letterarie. Un film che, almeno nel mio caso, ha avuto bisogno di esser “digerito”, tanti sono gli spunti ed i punti interrogativi che mi ha lasciato dopo la visione.

 

La forma scelta è quella dell’apparente casualità della rappresentazione, la macchina mobile che ci introduce nella bucolica quiete di un bosco innominato, le prime immagini che seguono da presso la “protagonista” Isa dopo una breve intermittenza schermata di bianco e rosa. Senza spiegarci né le sue motivazioni né perché si aggiri nella boscaglia, sola.

 

 

Un bosco “Pangea”, primordiale e mastodontico, labirintico e caratterizzato dai colori spenti e percorso da sentieri d’entrata che si immaginano battuti pesantemente dai gitanti domenicali festanti o dagli animali che vivono ai margini della civiltà, ibridi selvaggi addomesticati dalla troppa vicinanza all’uomo. Direttrici di sicurezza del viandante di giorno, ma dall’aspetto minaccioso al crepuscolo, tracciano la via conosciuta alle anime che li percorrono. Finché non spariscono nell’indefinito.

E come un animale scosso, Isa si ricongiunge al suo branco, nel folto della selva, dove il cammino non è più tracciato ma lo sarà dal suo passo e da quello dei suoi amici.

 

 

La stessa logica di ripresa cambia spesso la prospettiva dell’immagine, da presso, alle spalle, dei viaggiatori o allontanandosi da loro (lasciandoli andare) o definendo lo spazio circostante in lenti movimenti a 360°, rivelatori pur non mostrando nulla; ma che rappresentano un unicum col flusso emozionale disturbato ed incerto delle menti e delle parole dei ragazzi.

I quali, impegnati in un viaggio (forse) senza fine, cercano la loro via, instancabili, intrappolati in un circolo vitale chiuso, conclusivo ma iniziatico, assimilabile al percorso umano in generale, che pone anch’esso tappe al proprio flusso esistenziale in base agli eventi memorabili accadutigli, tragici o meno.

 

Una ricercatezza asettica e antispettacolare tutt’uno col manifesto artistico della Lopez, fatto di informalismo visivo e intellettualismo di resa, con qualche prolissità e sgangheratezza, ma che senz’altro non può lasciare indifferenti.

 

 

Soprattutto quelle anime ingabbiate in un indefinito limbo emozionale.

 

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