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Leones

Regia di Jazmín López vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Leones

di lussemburgo
6 stelle

Cinque giovani deambulano in un bosco fitto, alternato a prati abitati solo da insetti e pochi altri animali, mentre la macchina da presa li segue e li lascia entrare ed uscire senza costrizione apparente dall’inquadratura, muoversi a piacere nella profondità di campo. I ragazzi, uniti da amicizia e parentela, sono alla vaga ricerca di una casa e del mare, ma si scordano di avere nello zaino una mappa della zona, che non sanno però decifrare. Camminano comunque senza davvero avanzare, spesso tornando sui loro passi, o ne hanno l’impressione, sfidandosi a improvvisare massime esistenziali contratte in sei parole, secondo un gioco ispirato alla asciuttezza letteraria di Hemingway. Scherzando e prendendosi in giro, cercando una strada che sempre li elude, portano con loro una pistola e un registratore a cassetta, essendosene però dimenticate le ragioni, sparando proiettili senza motivo e ascoltando il nastro senza attenzione. Il tempo, la vita, il suo senso e la sua fine aleggiano tra le piante e nelle loro discussioni, parole e gesti importano l’angoscia dell’inspiegabile in un clima apparentemente spensierato e bucolico. I loro cinque corpi si muovono con l’eleganza e la spensieratezza dell’età giovanile, si attraggono e respingono a vicenda, si rilassano nelle acque di un lago o nel tepore dell’erba sebbene avvertano il dubbio di essersi persi, di aver smarrito il senso del loro peregrinare. La macchina da presa non li tallona, si distrae spesso a inquadrare il mondo circostante e gestisce una temporalità che si fa lasca; le entrate e le uscite dall’inquadratura non seguono uno schema consueto, i personaggi si ritrovano dove non dovrebbero e il tempo accelera percettibilmente dentro piani sequenza che dovrebbero rispettare l’unità cronologica e di luogo. La logica si sfilaccia lentamente e dalla colonna sonora, fatta dei rumori della natura e, in lontananza, forse, anche di una città invisibile, a poco a poco si insinuano le loro stesse voci registrate sulla cassetta. Frammiste a canzoni e a brani classici, a brandelli di un passato recente e già offuscato, le loro parole raccontano, se ascoltate, una diversa storia, testimoniano imperturbabilmente un passato di cui i ragazzi non si rendono conto, che non sanno interpretare. Un relitto di una macchina, depositato senza ragione tra i boschi, fa prendere coscienza a una di loro dell’accaduto, le permette di capire le ragioni del loro vagolare nella luce di un giorno senza notte. Le inquadrature morbide e la libertà dei movimenti non impongono un senso ma suggeriscono una spiegazione, il tallonamento della macchina da presa non ha l’ancoraggio socio-politico dei Dardenne e sembra, al contrario, rifarsi all’astrattezza di alcuni esperimenti di Van Sant, da Gerry a Last Days (e questo film è dedicato alla memoria di Kurt Cobain), al muoversi inquieto di giovani nel deserto e nei boschi alla ricerca di un senso fuggevole, corpi in fuga da un’angoscia invece crescente, come in Elephant, in cui il deambulare rimaneva circoscritto ai corridoi di un Liceo e la morte si incarnava nella insensatezza omicida di due alunni. Come qui, natura e silenzio interiore alimentano l’immaginario di un road-movie immobile, in cui il panorama cambia ma non evolve e si trasmuta in soffocante e invalicabile parete, le inquadrature si fanno schermo interiore, apparentemente oggettivo, di un turbamento che non si incarna del tutto nell’azione. Anche nel film della Lòpez la realtà si fa progressivamente evanescente, la natura rimane incurante dei protagonisti e indifferente, sino a rendersi straniante e inquietante mentre in colonna sonora i rumori rendono il paesaggio alternativamente accogliente o minaccioso, e si associa ad un’irrequieta e vaga smemoratezza dei ragazzi che impedisce di ripristinare le esatte coordinate degli eventi Il tempi dilatati delle lunghe inquadrature, spesso associate a panoramiche circolari, immergono cinque protagonisti in un mondo familiare ed estraneo, sfondato dalla profondità di campo ma circoscritto dagli alberi e dal panorama chiuso, sino al finale, in riva all’ambito mare, sulla spiaggia di un oceano procelloso e turbato in cui Sofi, l’unica che ha realizzato ciò che è successo, si tuffa senza esitare, seguita dagli altri solo con lo sguardo, perdendosi o liberandosi tra gli sbuffi e la schiuma delle onde e nel bianco della dissolvenza finale.

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